Un semplice appunto di lavoro o il memorandum di un accordo raggiunto? Di sicuro c'è che l'ultimo passo avanti compiuto dall'indagine della Procura di Milano sugli affari in terra di Russia di Gianluca Savoini, già plenipotenziario del ministro Matteo Salvini, si arricchisce di un nuovo tassello: che dà, se non altro, il quadro definitivo di quali fossero l'oggetto e le condizioni dell'incontro nella hall del Metropol, il grande albergo nel cuore di Mosca.
Da una parte i tre italiani: Savoini con i suoi singolari consulenti, Gianluca Vannucci e Francesco Meranda. Dall'altra parte i tre interlocutori russi, solo due dei quali allo stato attuale identificati. Nessuno dei sei è un funzionario pubblico, nessuno dei tre ha cariche in aziende che si occupano di petrolio. Tutti e sei, a quanto pare, si muovono nel milieu delle mediazioni, dei subcontratti di fornitura. E la nuova prova acquisita dai pm è la fotografia di un appunto che delinea la spartizione tra i due schieramenti dello sconto sulla fornitura di gasolio oggetto dell'incontro: del 10 per cento di sconto, il 6 resterebbe in tasca ai russi, il 4 agli italiani. È il 4 per cento che in parte, secondo l'ipotesi della Procura di Milano, doveva poi alimentare la campagna elettorale della Lega.
La notizia del ritrovamento viene resa nota ieri da Repubblica e dal Fatto. La reazione di Matteo Salvini non si fa attendere: «Non c'è un dollaro, un fiorino, un rublo, io non ho mai visto o chiesto un euro. Possono fare e pubblicare tutti i disegnini che vogliono, aspettiamo che si chiuda l'inchiesta, che è aperta da più di un anno», risponde l'ex ministro dell'Interno alle domande sull'appunto ritrovato.
In realtà che i soldi non abbiano viaggiato ne sono ormai quasi convinti anche i pm milanesi. Ma questo non ferma l'inchiesta, perché il reato di corruzione internazionale viene commesso anche se tutto si ferma alle promesse di tangente. E quel 6 per cento destinato ai russi secondo il procuratore aggiunto Fabio De Pasquale, che coordina l'inchiesta, non è altro che la «stecca» destinata a pubblici ufficiali russi ancora da identificare.
La fotografia del «papello» è stata scattata, secondo gli inquirenti, da Meranda, che l'ha poi condivisa attraverso lo smartphone con Savoini e Vannucci. E sui telefoni dei membri è stata ritrovata dalla Guardia di finanza nell'estate scorsa, quando - dopo la pubblicazione sul sito Buzzfeed della registrazione dell'incontro moscovita - sono stati perquisiti casa e uffici dei tre. Certo, resta da chiedersi perché Savoini e i suoi amici, pur sapendo da tempo di essere nel mirino, abbiano conservato la foto. Ma intanto la Procura incamera volentieri il risultato.
E non è l'unico dispiacere politico-giudiziario che la giornata di ieri arreca alla Lega: la Giunta per le autorizzazioni a procedere vota a favore dell'apertura e della consegna alla Procura di Milano del computer di Armando Siri, ex sottosegretario leghista alle Infrastrutture, indagato per autoriciclaggio.
Come fa notare Siri in una nota assai polemica, la Giunta acconsente alla consegna integrale di tutto il contenuto del laptop, compresi gli atti estranei all'indagine e relativi all'attività parlamentare. «È uno sfregio all'istituzione», dice Siri. La decisione definitiva passa ora all'aula del Senato, dove si voterà a scrutinio segreto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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