
Sarà possibile rimpatriare i clandestini con decreto di espulsione in un return hub fuori dall'Unione europea. È sulla parola return scritta nel Piano asilo e migrazione della Ue presentato ieri che si gioca la partita. C'è chi la definisce una «deportazione» più che un rimpatrio, tirando in ballo la Libia e una esternalizzazione trasformata in violenze, torture e stupri per chi fugge da guerre e carestie.
Ecco perché la Ue ha messo nero su bianco che il Paese extra Ue deve rispettare gli standard e i principi internazionali sui diritti umani, in conformità con il diritto internazionale, incluso il principio di non respingimento (non refoulement) con un attento monitoraggio sul rispetto di queste fondamentali prerogative. Questi return hubs potrebbero dunque essere individuati in nazioni «vicine» alla Ue come Kossovo, Bosnia-Erzegovina, Montenegro, Macedonia del Nord e Serbia, Paesi con cui sono avviati da tempo i negoziati per l'adesione. Proprio la Serbia, cruciale nel crocevia migratorio dei Balcani tra Turchia, Bulgaria e i Paesi dell'ex Jugoslavia, ha recentemente aderito a Frontex.
In ogni caso le famiglie con minori e fragili e i minori non accompagnati sono esclusi dai rimpatri dai return hubs, come ha chiarito la vicepresidente della commissione Ue Henna Virkkunen, che invece riguarderanno persone che oggi sono «illegalmente sul territorio Ue, che si sono già viste rifiutare la domanda di asilo e che hanno ricevuto un ordine di rimpatrio», cosa che presuppone «diversi gradi di giudizio» e un decreto di espulsione. Gli Stati membri Ue «dovranno verificare tempestivamente se un individuo presenta un rischio per la sicurezza e una volta identificate, tali persone saranno soggette a regole severe, tra cui il rimpatrio forzato obbligatorio, divieti di ingresso più lunghi, zone separate di detenzione, che può essere estesa oltre i normali 24 mesi su ordine di un giudice in caso di rischio di fuga», si legge nel provvedimento.
Non si parla dunque di chi arriva oggi a chiedere asilo ma di chi non ha diritto. «La nostra priorità sarà privilegiare i rimpatri volontari, più economici e più efficaci», ha ribadito il commissario Ue agli Affari interni e alla Migrazione Magnus Brunner (nella foto). Ai migranti che chiedono la protezione internazionale sarà possibile chiedere una garanzia finanziaria (come già prevede il decreto Cutro, ostacolato dalla solita magistratura ideologica), o di risiedere in un luogo di accoglienza designato dalle autorità nazionali come i nei Sai (Sistema accoglienza integrazione) gestiti da Comuni e Regioni che oggi accolgono circa 30mila persone, di cui circa 12mila provengono dai 19 «Paesi sicuri» individuati dal governo per i rimpatri immediati.
Lo stesso responsabile del dossier migranti ha spiegato la differenza tra questi return hubs, il cosiddetto «modello Ruanda» (la deportazione dei migranti irregolari nel Paese dell'Africa Orientale progettata ma mai attuata dal governo britannico, a parte quattro persone che vi sono andate volontariamente) e il modello Albania (altro Paese pronto a entrare nella Ue), che invece riguarda la possibilità del rimpatrio accelerato dei richiedenti asilo provenienti dai «Paesi sicuri» maschi, maggiorenni e in buona salute salvati in mare fuori dalle acque territoriali italiane che non hanno diritto a restare in Italia. Anche se il governo ha in animo un decreto che potrebbe trasformare gli hotspot di Shengjin e Gjader in Cpr e quindi in return hubs. Il decreto è in fase di definizione dai tecnici del Viminale guidato da Matteo Piantedosi e consentirebbe di portare in Albania chi ha già un decreto di espulsione, anche prima del pronunciamento della Corte di giustizia Ue sui «Paesi sicuri», atteso prima dell'estate, aggirando i pronunciamenti della magistratura contrari alle espulsioni accelerate.
Intanto gli sbarchi in Italia sono leggermente superiori all'anno scorso.
Dagli inizi di marzo ad oggi ci sono duemila arrivi in più, pari alla fiammata di arrivi dalla Libia in coincidenza con il caso del comandante libico Almasri e alla «conquista» del porto di Zuwara da parte di miliziani attratti dal lucroso mercato di uomini che la Ue vuole fermare.
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