La vita in diretta, Le Iene, Crash, Report, Far Web, Filorosso Revolution... Più che titoli di programmi tv paiono il pronto intervento: inchieste, denunce, e soprattutto la difesa dei deboli. Il comun denominatore è lui, Federico Ruffo, il Robin Hood della televisione italiana. Che siano utenti, amici, cani abbandonati, l'urgenza del salvataggio che lo muove è sempre la stessa e gli arriva da lontano. Da una compagna di classe della quale troppo tardi ha compreso l'orrenda disperazione e dai tempi in cui, da piccolo, nella parte sbagliata di Ostia (dove con la sua famiglia di origini calabresi vivevano in otto in un appartamento di edilizia popolare) uscire di casa era una scommessa col destino. Era alto, timido, secco: e pesare quaranta chili, a Ostia, negli anni Ottanta di Romanzo Criminale, non era premiante. A furia di prendere botte ha deciso di cambiare: calcio, pesi, pugilato. Oggi ha i bicipiti che gli premono sotto il maglione (gli sono valsi, in certe redazioni, il soprannome di «bagnino»), una voce di velluto e una tenuta di nervi d'acciaio perché, come tutte le persone che hanno fondato la propria vita sulla lotta, sa come dosare la forza. A impreziosire il cliché dell'aspetto, tre tatuaggi. Dei quali però, se gli si chiede conto... Avrà fatto anche tanto sport ma l'anima non se l'è sudata via.
Parliamo dei tatuaggi...
«Sulla schiena ho una frase dedicata alla mia famiglia. Quello sulla spalla sinistra in realtà non l'ho mai finito, è un tribale misto a una citazione di Tex, un omaggio a mio padre anche se non credo lo sappia, non ci parliamo tanto».
Perché non vi parlate?
«Siamo dei sordomuti sentimentali. Non sapremmo nemmeno come dircele certe cose. Però nella mia famiglia nessuno rimane mai solo, quando ha bisogno».
E sua madre?
«È diventata mamma giovanissima, è arrivata a Ostia ed era terrorizzata. Credo che se avesse potuto avrebbe tenuto me e mio fratello chiusi in giardino. Mia madre è il tetto sotto cui tutti ci siamo riparati».
Il terzo tatuaggio?
«Sul polso sinistro ho Snoopy».
È il cane che le ha salvato la vita nell'attentato?
«Sì. È lui che ha sentito il rumore di qualcuno che è inciampato nella sua ciotola in terrazza. Qualcuno che aveva già gettato benzina per appiccare il fuoco. Sento ancora il rumore del mio cuore che si spacca quando, anni dopo, ho dovuto far sopprimere Snoopy perché non c'era più niente da fare. Poi ho avuto Brando, un setter anziano preso in canile. Nessuno vuole i cani anziani».
L'attentato è per qualche inchiesta. Alla faccia del bagnino...
«Quando entri in un certo giornalismo che conta ti fanno una fotografia con gli occhi. E la fotografia non cambia mai, indipendentemente da ciò che fai o diventi».
Le avranno fatto male, queste perfidie snob.
«Vengo da Ostia, è una cosa che non mi perdoneranno mai. Troppo ruspante. E poi l'aspetto: troppo testosterone. L'estate in cui entrai in sostituzione in un tg fuori dalla Rai mi dissero possiamo far entrare quattro persone: tre dobbiamo prenderle, una deve lavorare per gli altri tre. Quell'una sei tu. Ho sempre lavorato tanto. Eppure, ad ogni passo avanti mi hanno attribuito un appoggio politico».
E ne ha, di appoggi politici?
«Zero. Uno di quelli che mi hanno attribuito era Matteo Renzi. Credo di non aver mai preso neanche il suo stesso Frecciarossa».
Con Mi manda Raitre sta andando benissimo.
«Mai come quest'anno segniamo record di ascolti e siamo il programma più visto nella mattina di Raitre. Con tutto che non siamo in una collocazione ideale per le inchieste e che io ho virato tanto il programma sulle inchieste, cambiando il modo di farle perché nel frattempo è cambiato il mondo».
Le grandi svolte della sua carriera?
«Mi fa sorridere perché a un certo punto mi hanno attribuito un inspiegabile, repentino salto di carriera. Come se fino al giorno prima fossi stato nella stanza dei toner. Sono in Rai da sempre... Comunque i momenti di svolta sono due: il primo lo devo a Daria Bignardi che mi ha dato la prima conduzione a Il posto giusto, nessun altro lo avrebbe fatto. Il secondo a Franco Di Mare, che mi ha chiamato a Mi manda Raitre. E ha pagato cara la scelta, lo hanno attaccato tutti».
Era amico di Di Mare?
«Non so se lui mi considerasse un suo amico. Gli amici sono quelli che ti porti dietro tutta la vita. E io l'ho frequentato per lavoro per cinque o sei anni. Prima che mi desse il programma lo avevo incontrato solo due volte. Una delle quali al bar di Saxa Rubra, per chiedergli un consiglio sulla fiction tratta dal mio libro. Non ha mai parlato della sua malattia. Ricordo il giorno in cui è morto, il messaggio che mi è arrivato in camerino. Io sarei andato in onda il giorno dopo e non potevo non dire una parola».
E quindi?
«La mia redazione è una famiglia. Sono tutti tornati indietro per rifare la puntata, nessuno ha fiatato. Sono tornati e abbiamo registrato. Oggi c'è la fila per venire a lavorare da noi. Perfino qualcuno di quelli che mi chiamava il bagnino è venuto a proporsi».
Una bella soddisfazione.
«Sì, e il fatto che ai tempi l'aspetto per cui mi bullizzavano mi ha dato anche qualche vantaggio. Tipo riuscire a uscire con colleghe a cui facevano il filo loro».
Ecco, parliamo di donne. Si è sposato a giugno.
«Sì. Ero già stato sposato, con una ragazza con la quale stavo da quando avevo diciott'anni. Ci siamo sposati a ventotto e separati a ventotto e mezzo. Le nostre vite non si parlavano più. Poi ho avuto altre storie, compresa una tossica. Quando ho incontrato Veronica (Di Spirito, che lavora con Maria De Filippi, ndr) per me l'argomento era chiuso».
E invece... Una proposta di nozze romanticissima.
«Mi hanno aiutato Maria De Filippi e tutta la redazione di C'è posta per te dove Veronica lavora. Pensava fosse il video di un'altra storia del programma, invece c'ero io che le chiedevo di sposarmi. La mia vita senza di lei era perfetta, con lei è meglio. Ci siamo incontrati tardi, vorrei avere più anni da darle».
E invece la compagna di classe?
«Una storia tremenda. Il suo fratellino venne ucciso in un tentativo di stupro da parte dei vicini di casa. Ma poi venne fuori che entrambi venivano abusati dal padre da anni. Quando ripenso ai suoi silenzi in classe, mi angoscia pensare da quali notti provenissero. Ho deciso che da questo mestiere avrei potuto tirare fuori qualcosa di meglio del semplice raccontare».
Da dove le viene tutta questa «urgenza di salvataggio»?
«Da mero risentimento proletario. Quando nasci ultimo vuoi che tutti si ricordino che non muori da ultimo».
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