Dopo otto mesi di scontri, Hamas sporge la testa dalle rovine di Rafah. Ieri mattina alle 5 un «nagmash» un mezzo corazzato con dentro otto soldati tornava, parte di un corteo, da un'operazione durata tutta la nottata, uno scontro molto duro con Hamas, di cui Rafah è la maggiore base. Quale sia stata la causa dell'esplosione non è del tutto chiaro, ma il risultato sono otto morti, fra cui il comandante druso Wassim Mahmoud, 23 anni: nel suo villaggio di Beit Jann, la sua famiglia ha dovuto piangere l'addio al proprio figlio proprio durante la Festa del Sacrificio, il Korban. Hamas, mentre tutta Israele studia l'evento nel dolore e nella discussione, ha subito orgogliosamente rivendicato l'evento: forse un missile o una carica agganciata da Hamas al veicolo ha causato lo scoppio fatale dell'esplosivo trasportato dal Namer (la Tigre). Ci sono volute ore e altri spari per raggiungere il Namer e recuperare i corpi dei soldati dal mezzo esploso nella parte nord-occidentale di Rafah nel quartiere elegante di Tel Sultan, dove nella battaglia una cinquantina di uomini di Hamas erano stati uccisi. Netanyahu a sera con faccia triste ha commemorato i caduti e promesso: «Gli obiettivi non cambiano, liberare gli ostaggi ed eliminare Hamas».
La soddisfazione di Hamas è un'affermazione di sopravvivenza, di dominio, della volontà di seguitare a sfidare Israele, è un segnale agli alleati russi, iraniani, Hezbollah che vale la pena di puntare ancora su Sinwar. Da quando Israele ha mosso i suoi tank dentro Rafah, roccaforte di Hamas, l'organizzazione terrorista ha inaugurato una strategia «mordi e fuggi», in cui usa tutte le risorse locali, i tunnel, le riserve di armi, sfodera da sotto terra i terroristi preparati appositamente alla guerra. Insomma, mobilita tutta la preparazione approntata prima del 7 ottobre per una guerra di lungo termine. Vuole dimostrare che l'obiettivo di Netanyahu di distruggere il mostro che ha compiuto il pogrom del 7 ottobre non può realizzarsi, tantomeno in tempi brevi. Probabilmente senza i soldati che sono andati a combattere per riportare a casa i corpi dei soldati uccisi ieri, Hamas avrebbe rapito anche i corpi dei soldati uccisi, come già ha fatto per esempio nel 2014 con Oron Shaul e Hadar Goldin, aggiungendo così altri elementi orrifici al suo gioco.
Sempre ieri Hamas ha sparato missili dentro Israele, a Sufa, a Sdei Avraham, a Holit, e l'ha fatto dalla zona umanitaria, che dovrebbe essere demilitarizzata. Secondo Sinwar stesso, creando un'indispensabile reazione di Israele (non può lasciare che missili piovano da Gaza sui cittadini dentro il confine) lo si attrae nella trappola bellica che mette a rischio la gente dentro Gaza, e costringe Israele in un assedio in cui il mondo le richiede il cessate il fuoco. È un cerchio che si chiude sulla tragedia dei rapiti: Hamas, anche per Biden e Blinken, rifiuta ogni accordo, i rapiti restano per Sinwar uno strumento di guerra, di ricatto supremo per ottenere alla fine il controllo della Striscia. E qui in Israele ieri sera si sono riaperte le pressioni su Netnayahu perché disegni un futuro per Gaza dopo la guerra, come vorrebbe Biden, ovvero una compagine araba di cui faccia parte l'Autorità palestinese. Ma com'è possibile quando nell'Anp la popolazione è tutta favorevole a Hamas? Qui, chi sollecita due Stati per due popoli non ha ancora fornito una risposta.
Per ora Israele non ha la possibilità di cedere, a meno di non consegnare a Hamas una vittoria. Quindi i suoi soldati si fanno coraggio: seguiteranno a combattere fino a che, in qualche modo, non si disegni una sconfitta di Hamas. Un nobile obiettivo per il mondo intero, che può portare all'unica vera pace.
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