Saman aveva previsto la sua fine. L'aveva sognata notte dopo notte, aveva fatto di tutto per evitarla, allontanandosi di casa più di una volta e mettendo in guardia chi l'amava dai suoi possibili carnefici.
Ma non è riuscita a sfuggire al suo destino. Tre mesi prima di sparire nel nulla a Novellara, in chat aveva confidato al fidanzato il suo terrore, affidandogli i nomi e i numeri di telefono di chi avrebbe potuto farle del male. Una sorta di tragica eredità, che pesa ora sulle spalle del giovane, un connazionale conosciuto in Italia, con cui aveva avuto la sfrontatezza di scambiare quel bacio per le vie di Bologna e di postarlo sui social, decretando la sua condanna a morte.
Era il 4 febbraio 2021 e della diciottenne pachistana si sarebbero perse le tracce il 30 aprile. Al termine delle indagini, i carabinieri e la Procura di Reggio Emilia hanno rinviato a giudizio cinque di quelle persone. A processo nel febbraio 2023 andranno i genitori, Shabbar Abbas e Nazia Shaheen, ancora latitanti in Pakistan, lo zio Danish Hasnain e i cugini Ikram Ijaz e Nomanhulaq Nomanhulaq, arrestati nei mesi scorsi dopo la fuga all'estero, i primi due in Francia, il terzo in Spagna.
Ma la vittima aveva segnalato in questa chat dell'orrore, finita agli atti dell'inchiesta, anche il fratello minore, un altro cugino e un altro zio, che non risultano indagati. Gli ultimi due sono gli stessi parenti che il fratello, in una conversazione con la madre intercettata dopo il delitto, accusava come istigatori del delitto. Li chiamava «il cane» e «il cane coi baffi». E sempre lo zio è il soggetto con il quale parlava il padre di Saman, in un dialogo intercettato a giugno, e raccontava di aver ucciso la ragazza per la propria «dignità».
Scrivendo al fidanzato la diciottenne forniva anche altri dettagli, sperando forse di essere in qualche modo protetta dai suoi familiari, che non accettavano la sua relazione e la voglia di prendere in mano le redini della sua giovane vita. Saman dava al ragazzo la via della casa di Novellara dove aveva abitato insieme alla famiglia e dove era tornata il 20 aprile, dieci giorni prima di scomparire, per prendere i documenti e andarsene, dopo un periodo vissuto in una comunità protetta a Bologna. Gli confidava perfino il nome e la città pachistana del cugino che rifiutava di sposare nel matrimonio combinato. L'opposizione della ragazza a questo progetto della famiglia è considerato dagli inquirenti uno dei moventi del delitto. Il cugino non indagato della giovane, sentito dai carabinieri il 31 luglio 2021, raccontava infatti che Shabbar, la moglie e lo stesso fratello di Saman si lamentavano continuamente della relazione che lei aveva intrapreso.
Il capo famiglia nel gennaio 2021 era andato in Pakistan, a minacciare di morte i parenti del fidanzato della figlia.Fino a oggi lui e la moglie hanno avuto una sorta di protezione dalla polizia locale del Punjab, dove vivono. Ma la polizia federale del Pakistan starebbe per porre fine alla loro latitanza.
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