Parla da dietro un paravento, in perfetto italiano, il fratello di Saman, dopo essersi seduto nell'aula della Corte d'Assise di Reggio Emilia prima che entrassero i parenti, per evitare di incrociarne gli sguardi dopo le pressioni subite affinché cambiasse versione: «Voglio dire tutta la verità», esordisce confermando di voler parlare nonostante gli avvocati degli imputati, la scorsa udienza, avessero cercato di farlo uscire dal processo evidenziando una possibilità incompatibilità tra la sua veste di parte civile e quella di possibile indagato. Eccezione respinta dai giudici, per i quali la situazione di Ali Haidert è immutata, al momento non è indagato e può testimoniare.
Nell'aula della Corte d'Assise di Reggio Emilia è il giorno di questo ragazzo da poco maggiorenne che accusa la famiglia dell'omicidio della sorella, avvenuto a Novellara la notte del 30 aprile 2021. Uccisa a 16 anni perché aveva osato opporsi ad un matrimonio combinato e perché le piaceva fare la sua vita. «Temevo di fare la stesa fine», dice. Le parole di Ali sono ascoltate dal padre, Shabbar Abbas, recentemente estradato dal Pakistan - dove era fuggito con la moglie dopo la scomparsa di Saman - i cugini Ikram Ijaz e Nomanullaq Nomanullaq e e lo zio Danish Hasnain. L'altra imputata è la madre, l'unica ancora latitante in patria. Le sue precedenti dichiarazioni, rese tra maggio e giugno 2021, sono state poi ritenute poi inutilizzabili. Dunque è importante che ieri il testimone chiave, seppur tra qualche non ricordo, abbia ribadito le sue accuse contro i familiari, aggiungendo dettagli mai rivelati, come quando li sentì pianificare il delitto, e contraddicendosi su altri, come il fatto di averli visti con pale e secchio. «Mentre facevano i piani, io stavo sulle scale ad ascoltare, non tutto ma quasi. Ho sentito una volta mio padre che diceva di scavare. C'erano Noman, papà, mamma e altri due, Danish e Ikram», racconta Ali, che poi risponde alle domande sulla sera della scomparsa di Saman quando la sorella era in bagno a chattare con il fidanzato. «Mio padre mi disse di mostrargli le chat, altrimenti mi avrebbe appeso a testa in giù nelle serre. Quando è uscita, l'hanno incalzata, mia mamma l'ha rincorsa dicendole che l'avrebbero fatta sposare con chi voleva, ma lei voleva fare la sua vita. In bagno si è cambiata, si è messa i jeans ed è andata in strada. Mio padre ha chiamato qualcuno mentre Saman era in bagno e ha detto state attenti alle telecamere», racconta il 18enne.
In un primo momento Ali aveva detto che i cugini non c'entravano nulla: «Ho detto una bugia perché mio padre mi disse di farlo. Da piccolo avevo paura di lui e di mio zio». Ora invece spiega che fu il cugino Noman a dirgli dove era seppellita la sorella: «Lo chiesi a lui e allo zio Danish perché volevo abbracciarla un'ultima volta». Sarebbe stato lo zio a portare nella serra la sorella. «Ho visto tutta la scena, ero lì davanti alla porta. Mia sorella camminava, lo zio l'ha presa per il collo con un braccio e l'ha portata nella serra, mentre mia madre guardava.
C'erano anche i cugini, di cui ho visto solo la faccia». Dettagli diversi da quelli raccontati nel corso dell'incidente probatorio. «Perché non hai detto prima queste cose?», gli chiede il legale di uno degli imputati. «Perché avevo paura di mio padre», risponde lui.
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