Quella di Roberto Cingolani sulla Transizione Ecologica è un'ampia e sana rivoluzione. E non parliamo solo della presa di posizione concreta che il ministero diretto dal fisico ed ex direttore dell'Istituto Italiano di Tecnologia ha assunto nel quadro del governo Draghi, sostenendo misure che coniughino tutela dell'ambiente e crescita economica, come analizzato da Paolo Bracalini. Ci riferiameno anche a una vera e propria questione "pedagogica", a una lezione di realismo che Cingolani dà alla politica e al mondo accademico italiano. Alla smentita di una vulgata mainstream che impone il mito della competenza in ogni ambito, tranne che sull'ambiente, questione in cui ogni opinione è valida, purché sia apocalittica, ideologica, autoreferenziale. Dodici mesi per salvare il mondo, dieci anni, una generazione: quante volte abbiamo sentito allarmi di questo tipo. E non vogliamo in questo caso fare una critica a Greta Thunberg, all'entusiasmo giovanile di centinaia di migliaia di ragazzi italiani e a milioni di loro coetanei in tutto il mondo genuinamente desiderosi di vivere, in futuro, in un pianeta più sano. Ci rivolgiamo a settori dei media, della politica e dell'accademia che hanno, per fini politici, troppo spesso incentivato uno e un solo tipo di ambientalismo, che pretendeva di rendere il contesto ecologico scevro dall'uomo.
Ebbene, a questa vulgata Cingolani ha più volte risposto in maniera decisa. Ricordando che la transizione rischia di essere un "bagno di sangue" se non programmata strategicamente e senza considerare come funzionali alla battaglia per l'ambiente temi come l'energia nucleare, la politica industriale, mix energetici che, piaccia o meno, possono puntare alla decarbonizzazione anche includendo al loro interno quote di fonti fossili. E, più di recente, accusando esplicitamente l'ideologia radicale ambientalista di essere nemica del progresso ambientale. Per la transizione ecologica serve "consapevolezza dell'urgenza e della collaborazione", "che tutti collaborino perchè sia veramente sostenibile" e per una "sostenibilità che sia anche economica e lavorativa". E "c'è un grande nemico: l'ideologia", ha affermato il ministro intervenendo al Festival Rai 'Per il sociale'. Cingolani non dimentica che quella per la transizione ecologica è una sfida "che durerà circa 30 anni", considerando i target al 2050 e impone un cambiamento di modello economico. Un programma strategico che impone di ragionare in termini di nuove fonti, catene del valore, tecnologia, sviluppo, crescita. Di sporcarsi le mani nel mondo e col mondo, avendo come fine non solo l'ambiente ma l'uomo nell'ambiente: perché sostenibilità vuol dire anche garantire energia sicura e a buon mercato ai cittadini e alle imprese, creare nuovi settori di sviluppo a minor impatto, aumentare la tecnologizzazione e generare nuovi posti di lavoro. Avendo, per citare la dottrina ecologista che prende le mosse dalle visioni del pensiero sociale della Chiesa, l'uomo come fine.
Cingolani ha portato una svolta non secondaria, se si pensa che il modello originale del super-ministero da lui diretto era a trazione pentastellata. L’ambientalismo immobile, che castrava le trivellazioni di gas naturale e petrolio in Adriatico regalando i giacimenti a Croazia, Montenegro, Grecia, l’ambientalismo del “no” e della riverniciatura verde dei settori tradizionali è divenuto maggiormente assertivo, proattivo. Si è impegnato in una sfida, se possibile, ancora più complessa, perché impone scelte e non slogan. Lanciando allarmi non si sbaglia mai. Chi fa, invece, sbaglia: è nell'ordine delle cose. Ma la partita della transizione ecologica è talmente seria da imporre discussioni a tutto campo sul "che fare?".
Il dibattito pubblico, spesso, queste questioni le nega o le sottovaluta. Anche Enrico Mattei dovette affrontare accuse di megalomania, autoreferenzialità e vere e proprie minacce quando alla guida dell'Agip/Eni disegnò una rivoluzione energetica per l'Italia paragonabile a quella che oggi bisogna, superando ostacoli ancora più strutturati, immaginare. Oggigiorno, chi porta visione strategica e proposte o cerca di garantire ragionevolezza al dibattito sulla questione ambientale è meno considerato di chi lancia slogan e allarmi. La cosmesi green pesa più delle proposte concrete.
"Mi viene posta una domanda da persone allarmate: quanto tempo abbiamo per salvare il pianeta Terra?”, dichiarava nel 2019 a Il Foglio un climatologo di fama globale come il professor Franco Prodi, che sul tema aggiunse: "Sembra che si diano per certi e tutti conosciuti i motivi di allarme. E che l’unica domanda legittima sia quella del tempo a disposizione prima che si verifichi la catastrofe". A suo avviso l’approccio razionale non dovrebbe essere quello che dà per certa e scontata la catastrofe prima ancora di capire, sino in fondo se e quali siano “le basi scientifiche per un allarme" e quali siano le svolte che il sistema economico e sociale deve imporre per correggere sé stesso. Un altro studioso di peso che ha proposto soluzioni concrete per la crisi ambientale è il Nobel Carlo Rubbia, che dialogando con Rivista Energia ha proposto una strategia per la transizione fondata sull'analisi di tre temi condotta in modo graduale e pragmatico: la prospettiva di una graduale de-carbonizzazione delle fonti non rinnovabili, il tema della ricerca di fonti rinnovabili utilizzabili strategicamente e, in prospettiva, il dibattito sul futuro ruolo del nucleare a livello italiano ed internazionale. Visioni concrete che si rispecchiano nel metodo Cingolani e che richiamano alla necessità di rispondere con competenza, serietà e prospettive reali alla questione ambientale.
Perché non si possono invocare ovunque i competenti e abbandonare il tema ecologico all'ideologia. Serve visione sistemica: nel mondo della transizione dovremo vivere, lavorare, esistere. Pensare a questo settore come se fosse scevro dalla presenza dell'uomo e delle sue scelte è quanto di più errato si possa fare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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