Sanzioni degli Usa ai coloni israeliani

La mossa irrita Netanyahu. Al Cairo l'assenso di Hamas all'intesa sulla tregua nella Striscia

Sanzioni degli Usa ai coloni israeliani
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Nuove scintille fra Netanyahu e Biden, mentre dal Cairo, in Egitto, arrivano indiscrezioni su un primo via libera di massima di Hamas alla bozza di intesa che punta alla liberazione dei 136 ostaggi israeliani e a una pausa nei combattimenti a Gaza. Dopo lo scontro sulla futura sovranità della Striscia e sulla gestione della sicurezza a Gaza quando arriverà la fine del conflitto, adesso sono le violenze dei coloni israeliani in Cisgiordania a creare qualche tensione fra i due alleati. Per la prima volta, ieri il presidente americano Joe Biden ha firmato un ordine esecutivo che impone sanzioni contro 4 coloni che si sono macchiati di azioni estreme nel West Bank, assalti agli agricoltori palestinesi, lanci di pietre, blocchi stradali, minacce con campi bruciati e proprietà distrutte, che in un caso hanno anche portato alla morte di un palestinese. Il provvedimento impone sanzioni finanziarie e divieti di visto, dunque di ingresso negli Usa, per i 4 «settler» israeliani coinvolti, il cui numero potrebbe aumentare in futuro, anche se la Casa Bianca ha escluso che al momento ci siano piani per sanzionare esponenti del governo israeliano. Le violenze hanno raggiunto «livelli intollerabili» ha sottolineato Biden, dopo aver ricordato in giornata quanto gli Stati Uniti stiano lavorando «notte e giorno» per riportare a casa gli ostaggi e per un futuro di pace, che contempli anche la nascita di uno Stato palestinese. Ma le sanzioni non sono andate a genio a Benjamin Netanyahu, al governo con l'estrema destra che soffia ed è espressione dell'oltranzismo dei coloni. «Israele agisce contro chiunque violi la legge in tutti i luoghi, e quindi non c'è necessità di misure drastiche sulla questione», ha commentato il primo ministro israeliano, ricordando che «la vasta maggioranza dei residenti in Giudea e Samaria sono cittadini che rispettano la legge, molti dei quali ora stanno combattendo o sono riservisti per proteggere Israele».

La questione è fonte di nuovi attriti fra i due alleati. Ma in questo momento tutte le energie sono concentrate sulle trattative per la liberazione dei 136 ostaggi ancora prigionieri a Gaza e per una tregua nella Striscia. Ieri il capo politico di Hamas, Ismail Haneyeh, ha guidato in Egitto la delegazione del gruppo terroristico. Secondo il ministro degli Esteri del Qatar, Hamas ha dato un riscontro positivo alla bozza, che prevede una prima fase di tregua di sei settimane, il rilascio di tutti i rapiti civili in cambio di tre detenuti palestinesi per ogni ostaggio.

Intanto ieri la guerra a Gaza ha fatto sentire i suoi scossoni anche in Turchia. Due aggressori, uno dei quali un dipendente dell'azienda, hanno preso in ostaggio 7 persone, sei uomini e una donna, nella fabbrica del colosso americano Procter and Gamble (P&G) a Gebze, nella provincia di Kocaeli, a un'ora circa di distanza da Istanbul.

Uno dei due uomini si è fatto immortalare in una foto che lo mostra con esplosivi da kamikaze sul corpo, kefiah sul viso e pistola in mano da una parte, due dita alzate nel segno della vittoria dall'altra, al fianco di una scritta fresca sul muro, corredata da una bandiera turca e una palestinese, che recita: «Per Gaza, le porte si apriranno. O morte o preghiera».

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