Tanto in patria quanto all'estero, rabbia a 360°. Neppure il tempo di dare alle stampe le anticipazioni delle sue memorie, che l'ex presidente francese (2007-2012) si è attirato vecchie e nuove antipatie, risvegliandole anche in Francia tra chi gli aveva perdonato errori e tradimenti. Ma a far scalpore più di altri passaggi del libro appena pubblicato da Nicolas Sarkozy per Fayard («Le temps des combats») sono i toni sprezzanti riservati al defunto fondatore di Forza Italia, Silvio Berlusconi. Sarko lo definisce «delirante», «fuori luogo», prima di ricostruire così quel particolare frangente che fu il 2011, in cui pose le basi per cacciare il Cavaliere da Chigi: «Ci fu tra noi un momento di grande tensione quando dovetti spiegargli che il problema dell'Italia era lui!», scrive senza remore l'allora inquilino dell'Eliseo. «Io e Angela Merkel - prosegue svelando il piano che qualcuno definì una sorta di golpe - eravamo convinti che era diventato il premio del rischio da pagare ai creditori del Tesoro, convinti che la situazione sarebbe stata meno drammatica senza la sua attitudine patetica». Un'ammissione, che Sarkozy non considera una colpa. Ma un merito.
D'altronde nel libro sostiene che anche quando i colleghi di partito gli davan torto, e capitava di rado quand'era presidente, non era lui a sbagliare ma gli altri che non capivano la giustezza delle sue mosse, scelte, decisioni; tanto da criticare perfino Chirac, reo d'avergli preferito in seguito il socialista Hollande: Sarkò è insomma riuscito a farsi detestare dalla sua stessa famiglia politica, quei neogollisti che con FI vantavano invece una comunanza di pensiero.
Bizzarra la rilettura di quei giorni di killeraggio politico; perdipiù a danno di premier espressione di un partito cugino e che uno Stato «amico» aveva eletto alle urne, prima d'essere disarcionato ad opera del motore franco-tedesco. In un altro passaggio, Sarkozy ammette che «ormai si trattava di salvare la terza economia dell'eurozona. I tassi d'interesse che Roma doveva versare per rifinanziare il suo debito colossale avevano battuto il nuovo record del 6,4%. Avevamo raggiunto il limite di sostenibilità. Io e Angela Merkel abbiamo dovuto convocare Berlusconi per convincerlo a misure di bilancio e calmare la tempesta sui mercati. Cominciò a spiegarci che non avevamo capito che il debito italiano era nelle mani degli italiani e non c'era rischio con i mercati internazionali. Voleva chiedere un altro prestito ai concittadini. Era abbastanza delirante. Il tutto scandito da qualche barzelletta, com'era sua abitudine fare, ma più fuori luogo del solito».
Versione di Sarkò rispedita al mittente con sdegno non solo da Forza Italia, col capogruppo azzurro al Parlamento Ue Fulvio Martusciello che accusa l'ex inquilino dell'Eliseo di puntare «a sbarcare il lunario con insulti gratuiti», incapace di far sopravvivere il partito fino a scomparire. Ma anche da ex esponenti azzurri oggi meloniani al governo. «Sarò lapidario - tuona il titolare degli Affari europei Raffaele Fitto - la considero una brutta pagina, ero ministro (nel 2011). Non penso che altri governi possano determinare la caduta di un governo sovrano eletto, in Europa bisogna esserci, rispettare ma soprattutto farsi rispettare». Di interferenza certificata parla pure Gianfranco Rotondi, all'epoca ministro per l'Attuazione del programma: «Sarkozy è reo confesso, trascura solo di confessare uno dei motivi dell'attacco, un decreto che salvava i risparmiatori in caso di default delle banche. Il sistema italiano era abbastanza sano, quello tedesco presentava criticità. Merkel e Sarkozy divennero belve con Berlusconi».
Per la presidente dei senatori di FI, Licia Ronzulli, l'ex capo dello Stato d'Oltralpe è affetto da «mania di autocelebrazione», incredula di fronte «all'ammissione» che la caduta di Berlusconi «fu il risultato di un complotto internazionale». Il sottosegretario Tullio Ferrante ricorda poi che quando Sarkò decise di eliminare Gheddafi, il Cav era contrario e fu l'unico a prevedere la polveriera che sarebbe diventata la Libia.
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