La «decertificazione» del trattato del 2015 fra l'Iran e i P5 più uno è una mossa audace e strategica, dalle conseguenze di lunga durata e con un forte significato di rottura, anche se Trump dalla cancellazione dell'accordo è passato a proporre di cambiarlo profondamente. Ma il tono è molto deciso: nel passare la sua decisione al Congresso, ha promesso che se esso non si deciderà a rivederlo, sarà lui stesso a cancellarlo. Insomma: Trump cerca un approccio che non irriti troppo il mondo che tiene per l'accordo, anche perchè cancellarlo cessa il flusso di affari e può spingere l'Iran a una corsa veloce al nucleare, ma avverte la comunità internazionale e il suo Congresso: se non vi decidete a intervenire, passerò alla cancellazione. Non sembra impressionato dalla reazione preventiva dell'Iran: «Se Trump insiste saremo noi a cancellare l'accordo», nè dall'Ue che come sempre invita alla prudenza. L'accordo contiene di fatto degli errori impensabili, dettati dal timore di Obama di arrivare alla rottura: l'impossibilita dell'agenzia atomica I'Aea di verificare lo stato dell'arricchimento dell'uranio perché è esclusa dalla visita agli impianti militari; la previsione che l'accordo si esaurirà fra meno di tredici anni restituendo all'Iran la corsa alla bomba; non comprendendo nell'accordo i missili balistici destinati al trasporto di testate atomiche.
L'accordo quindi, ha avuto la caratteristiche di ringalluzzire le ambizioni degli ayatollah e della Guardia Rivoluzionaria (segnata da Trump a dito per sanzioni), un insieme violento, antidemocratico, persecutorio nei confronti dell'Occidente che vuole schiacciare secondo i dettami islamici più estremi. Obama temette di chiedere a Teheran qualsiasi rinuncia seria (è mai possibile ritenere 15 anni un tempo ragionevole per cessare dalla costruzione dell'atomica?), rispondendo al fanatismo con il pacifismo. Questo ha impedito di vedere quello che Trump ha denunciato ieri: l'Iran è un paese terrorista che ha interesse a restare tale, e agisce contro gli interessi americani e di tutto il mondo. In Siria, in Libano, in Iraq, in Yemen, in Iraq, l'Iran suscita guerre come quella che gli consente ora dalla Siria di minacciare la vita di Israele. Le minaccia di morte a Israele e all'America è l'inno di guerra delle piazze di Teheran. I Paesi Sunniti tutti, i più quieti e amici dell'Occidente, si sentono traditi e fuggono dal rapporto con gli Usa per approdare alla Russia e alla Cina. Trump vuole dunque cambiare gli accordi, anche per il danno economico procurato al suo paese dal flusso di danaro manipolato dall'Iran, speso in armi e guerra.
Trump non cancella l'accordo, ma lo mette nelle mani del congresso perchè sia l'assemblea elettiva degli Usa a stabilire se le sanzioni debbano tornare a definire il rapporto con la gli ayatollah. É un'inversione a «U», un ritorno dell'America sulla scena mondiale, una posizione anche morale contro un Paese che perseguita i dissidenti, impicca gli omosessuali e prevede la lapidazione delle donne. Anche la fuoriuscita dall'Unesco è una dichiarazione di guerra all'unilateralismo delle istituzioni internazionali. Le critiche sono molto serie, e altrettanto possono essere le conseguenze.
L'Iran si può mettere di nuovo ventre a terra a costruire la bomba; l'Europa, almeno in queste settimane, sarà il difensore d'ufficio dell'accordo, e anche Putin è contro gli Usa. Ma questo è il prezzo dei cambiamenti in corso. L'accordo è pericolosissimo, mezzo mondo lo sa: l'altra metà, lo nega, come accadde col Nord Corea.
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