"Scenario impervio". Non basta la legge elettorale per la governabilità

Il professor Luigi Ciaurro, direttore del Servizio prerogative, immunità e contenzioso del Senato e docente di Diritto Parlamentare, analizza limiti e opportunità delle proposte in campo

"Scenario impervio". Non basta la legge elettorale per la governabilità

Il Movimento 5 Stelle spinge per il proporzionale puro, i dem tentano Giorgia Meloni con il premio di maggioranza, mentre dalla Lega arriva l'altolà: "Non si cambiano le regole del gioco a fine partita". Sullo sfondo della possibile crisi di governo, a dividere i partiti della maggioranza c'è anche il dibattito sulla legge elettorale con cui si andrà al voto nel 2023. Il professor Luigi Ciaurro, direttore del Servizio prerogative, immunità e contenzioso del Senato e docente di Diritto Parlamentare alla LUMSA e a La Sapienza di Roma, illustra le implicazioni tecniche delle diverse proposte in campo.

Prima di tutto una domanda: ci sono i tempi per cambiare la legge entro fine legislatura?

"Sicuramente sì. La legge elettorale è una semplice legge ordinaria e non richiede particolari procedure aggravate. L'unica prescrizione è quella dell'art. 72, ultimo comma, della Costituzione, che impedisce l'approvazione diretta in Commissione e impone che l'esame avvenga in Assemblea, la cosiddetta "riserva di Assemblea" appunto.

I partiti chiedono che ci sia un ampio consenso su questo. Perché è necessario?

"Sotto il profilo formale per approvare una nuova legge elettorale è sufficiente la maggioranza semplice. Solo alla Camera può essere anche chiesto il voto segreto sulle stesse leggi elettorali. Sul piano politico la legge elettorale, la "più politica delle leggi"- che definisce le regole per la trasformazione dei voti in seggi e quindi definisce gli assetti della rappresentanza politica - è bene che sia approvata con il più ampio consenso possibile, per evidenti ragioni di condivisione delle regole fondamentali".

Con l'attuale legge elettorale la governabilità sarebbe assicurata comunque, anche con la riduzione del numero dei parlamentari?

"L'attuale legge elettorale, cosiddetta "mista", prevede 3/8 di seggi con il maggioritario e 5/8 con il proporzionale. Tradotto in termini numerici: alla Camera 148 eletti con il maggioritario e 244 con il proporzionale (più 8 all'estero); al Senato rispettivamente 74, 122 e 4. In linea teorica il collegio uninominale maggioritario a un turno dovrebbe essere equivalente rispetto a un premio di maggioranza sul proporzionale ai fini della governabilità. Ma 'parecchio' in linea teorica".

Ritiene opportuni degli aggiustamenti all'attuale legge alla luce della riforma sul taglio dei parlamentari?

"Sono consapevole di esprimere una opinione del tutto personale e minoritaria, ma a mio avviso ragioni di opportunità costituzionale consiglierebbero che a fronte di una drastica contrazione della rappresentanza parlamentare la normativa elettorale dovrebbe in qualche modo avere effetti compensativi, allo scopo precipuo di assicurare adeguata rappresentanza alle minoranze politiche, che saranno le prime a dover pagare le conseguenze della riduzione".

Si torna a parlare di proporzionale. Quali sono i limiti e i pregi di questo sistema?

"L'obiettivo perseguito con il premio di maggioranza sul proporzionale è quello di sollecitare alleanze fra i partiti prima delle consultazioni, producendo conseguenti risultati elettorali a beneficio delle coalizioni più votate e così favorendo la governabilità. Però l'esperienza passata sembra smentire tale assunto, a causa della frammentarietà del quadro politico-partitico e dell'insopprimibile volatilità dei singoli parlamentari, nonché dello stesso ordinamento costituzionale bicamerale, che stabilisce il vincolo fiduciario fra il governo e ciascuna delle due Camere. Pertanto nell'ordinamento "concreto" lo scenario appare molto più impervio".

Che tipo di partito verrebbe avvantaggiato da questo modello?

"In generale alla vigilia del voto è sempre fuorviante tentare delle previsioni. Nello specifico odierno sono ancora troppe le incognite: ad esempio, come si comporterà la galassia delle formazioni centriste, oppure quale sarà l'esatta portata delle liste nelle coalizioni dei vari schieramenti".

Molti hanno definito quella della riduzione del numero dei parlamentari una riforma populista. Potrebbe porre problemi alle prossime politiche?

"Occorre distinguere: alla Camera la situazione non appare problematica, visto che il futuro numero di 400 eletti può essere paragonato a quello di 315 eletti al Senato della XVIII legislatura. Più complessa è la questione per l'elezione dei futuri 200 senatori. Anche alla luce del decreto legislativo n. 177 del 2020, emanato a seguito della nota riduzione, in particolare i 74 (così diminuiti) collegi uninominali ridisegnati di conseguenza si presentano forse di esagerata ampiezza in termini territoriali e demografici. In breve: sono troppo pochi e quindi sono sporporzionati.

Governabilità o maggiore rappresentatività: cosa andrebbe tenuto maggiormente in considerazione?

"Siamo sicuri che per la tenuta pluralistica della nostra democrazia serva maggiore governabilità? Comunque sia, qualche forza politica sta timidamente avanzando l'ipotesi di una legge proporzionale "pura". Che richiederebbe soluzioni tecniche opposte: niente premio di maggioranza, assenza di soglie di sbarramento, calcoli a livello nazionale e non circoscrizionale, quozienti puri e non corretti con aumenti al denominatore, valorizzazione dei resti e così via".

È auspicabile cambiare le regole a pochi mesi dal voto?

"È avvenuto sia con la legge 21 dicembre 2005, n. 270 (la legge Calderoli, ndr) che con la legge 3 novembre 2017, n. 165 (Rosatellum, ndr), ad opera rispettivamente del centrodestra e del centrosinistra.

Pertanto è fatto notorio che la raccomandazione del Consiglio d'Europa del 2003 - volta a evitare modifiche nei fondamenti della normativa elettorale nell'anno che precede il voto - sia stata disapplicata dai nostri attori politici".

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