Sceneggiata espulsi: mai presentate le "dimissioni"

Avrebbero dovuto depositare un «atto di rinuncia», sia pur privo di effetti: non lo hanno fatto

Sceneggiata espulsi: mai presentate le "dimissioni"

Il «piano segreto» di Luigi Di Maio per raggiungere il quorum governativo è semplice: sbianchettare le prime due lettere della parola «impresentabili». Ed ecco ripristinata la presentabilità di quanti lo stesso leader dei pentastellati aveva - ma solo a chiacchiere - «sbattuto fuori dal Movimento». Un'espulsione di facciata, alla vigila del voto, buona per rimarcare strumentalmente lo stigma dell'onestà al cospetto del proprio elettorato. Ma ora, a seggi assegnati, il bluff viene smascherato. In un quadro politico che si sbloccherà sul filo di una manciata di numeri, anche gli (im)presentabili possono quindi risultare decisivi. Del resto gli ex espulsi M5s sono quasi tutti stati eletti stracciando i diretti avversari di collegio e regalando alla ditta Di Maio un enorme capitale di preferenze. Un bottino di guerra cui i vertici del partito non vogliono più rinunciare. Quindi niente di meglio di un bel «vaffa» alle (finte) espulsione. Con tanto di riabilitazione generale. A reclamarla in un post è perfino (non si sa bene a quale titolo) il padre di Di Battista, il duro e puro del Movimento. Per l'assalto al Palazzo vanno benissimo anche gli ormai non più reprobi Caiata, Vitiello, Tasso, Cecconi, Dessì, Martelli, Benedetti e Buccarella: tutti pentascacciati da Di Maio, ma adesso in procinto di essere pentariammessi nel Movimento grazie al loro boom nelle urne con percentuali da capogiro. Risultato: in questi giorni il comitato dei probiviri dei Cinque stelle riaccoglierà in casa tutti e sette le pecorelle (apparentemente) smarrite, che non vedono l'ora di riabbracciare il padre (Beppe Grillo) il figlio (Di Maio) e lo spirito santo (Davide Casaleggio). La posizione dei fuoriusciti è molto diversificata e verso di loro Di Maio nutre sentimenti che vanno dalla latente antipatia (Dessì) alla manifesta simpatia (Caiata); nel limbo degli indifferenti gli altri sei neoeletti. Intanto i rinnegati di un tempo, rei di aver tenuto nascosti frequentazioni massoniche, inchieste giudiziarie o aver taroccato i rimborsi, oggi sono tornati fratelli a tutti gli effetti. E i loro scheletri del passato vengono liquidati con una semplice pacca sull'osso della spalla. Ma questo è solo l'ultimo (ultimo?) atto di una commedia cominciata alla vigilia del voto. Anche tutta la storia relativa al modulo dell'«atto di rinuncia alla proclamazione» che i finti epurati avrebbero firmato alla vigilia del voto è stata solo una manfrina. Il Giornale ha infatti verificato come in nessuno degli uffici elettorali presso le Corti di appello (competenti per i rispettivi collegi) i vertici pentastellati abbiano mai depositato alcun «atto di rinuncia alla proclamazione» relativi ai candidati «espulsi». Senza contare che, pure se lo avessero fatto, quel modulo non avrebbe avuto nessun valore giuridico. Perfino la «causa per danno di immagine», minacciata da Di Maio contro gli «onorevoli espulsi» che «non rinunceranno al mandato», è una bufala: aver portato un mare di voti al Movimento non è infatti un «danno», ma un valore aggiunto. Quanto al «divieto di far uso del simbolo del Movimento» basti guardare la pagina Facebook di Salvatore Caiata: faccia sorridente in primo piano, simbolo M5s sbarrato e slogan «Di Maio Presidente». Tra Caiata e Di Maio i rapporti sono di stima e il «perdono» è considerato cosa fatta.

Inutile chiedere conferma al presidente del Potenza Calcio, lui alle domande del Giornale non risponde o, al massimo, replica con un «Ci sentiamo dopo. Grazie». Molto meglio circondarsi della claque che in una città ai suoi piedi per l'imminente promozione in C, sa solo urlare: «Grande Presidente!». Caiata sarà anche «tosto», ma gli piace vincere facile.

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