Il premier britannico David Cameron si è dimesso subito il dopo voto sulla Brexit. Il sindaco di Londra Boris Johnson, apparso a tutti in pole position per sostituirlo, ha rinunciato a guidare i Tories prima ancora di tentare. Nelle stesse ore i laburisti hanno sfiduciato il loro segretario, il menscevico Jeremy Corbyn, e lunedì, ciliegina sulla torta, anche Nigel Farrage si è dimesso dalla guida dei nazionalisti dell'Ukip. Il voto sull'uscita dall'Ue ha terremotato l'intero panorama politico in Gran Bretagna, dove l'unica persona rimasta al suo posto, per il momento, è la novantenne Elisabetta II. La prospettiva di Londra fuori dall'Ue non piace dunque a nessuno né sulle isole britanniche né sul Continente. Il voto però va rispettato e visto che Londra è nel pallone bisogna che qualcuno da questa parte della Manica prenda l'iniziativa. Da Berlino si è fatto avanti Wolfgang Schäuble, impartendo ordini a tutta Europa. Gli inglesi si sbrighino ad andarsene, gli altri la smettano di parlare di maggiore integrazione che non è proprio aria e mettiamoci invece al lavoro su crisi migratoria e sull'unione energetica e digitale: un programma scarno ma molto pragmatico per rispondere a quella che l'esponente della Cdu ha definito «la più grande prova per l'Ue» dall'inizio della sua storia.
Le prime bacchettate sono per Boris Johnson accusato di aver sostenuto la Brexit senza però aver alcun piano per darle applicazione. Chissà, lascia intendere Schäuble, forse non ci credeva neppure lui. La seconda bacchettata è per gli elettori britannici pro-Ue che si sono dimenticati di andare a votare. Adesso siete fuori e spicciatevi a uscire, insiste. Un simpaticone il ministro non è mai stato: dalla sua ha però sia il mercato, che non ama le situazioni di incertezza, sia le imprese del suo Paese, che le detestano. Abituati a organizzare, i tedeschi odiano gli imprevisti e la Brexit è un imprevisto grosso come una casa. Agli inglesi Schäuble sembra dire: avete creato un bel casino, adesso cerchiamo di uscirne prima che la situazione degeneri. Prima cioè che anche altri paesi membri, magari fondatori dell'Unione europea, si facciano prendere da smanie da exit che metterebbero a repentaglio un'architettura tagliata su misura per i i bisogni dell'economia tedesca. Ecco perché al lussemburghese Juncker e al tedesco Schulz eletti da Angela Merkel ricorda che «non è il momento» per più integrazione: si rischia di spaventare qualcun'altro. I rischi non sono remoti: basti pensare alle confinanti Francia di Marine Le Pen o all'Austria del Partito della Libertà (Fpö).
A differenza della cancelliera, il cui capo di gabinetto Peter Altmaier parlando con lo Spiegel ha immaginato di concedere tempo agli inglesi per riflettere sulla Brexit, Schäuble è molto diretto. Anzi, a 74 anni il ministro è forse l'unica personalità tedesca in grado di muoversi autonomamente da Merkel. È stata lei a volerlo con sé agli Interni fra il 2005 e il 2009 e da allora sempre alle Finanze; e tuttavia lui non le deve nulla: nel 1989 lei non era nessuno mentre lui guidava già la riunificazione dal Viminale tedesco. Nel 2000 Merkel gli ha sottratto la guida della Cdu né lo ha mai sostenuto nelle sue aspirazioni alla presidenza federale. Obbligato al ruolo di eterno secondo, oggi il ministro ha abbandonato ogni velleità europeista: l'Ue blocchi l'immigrazione dal Nordafrica sul modello di quanto fa in Grecia grazie a un accordo siglato per volontà tedesca con la Turchia.
E poi crei un cloud digitale europeo per sfidare gli americani nel settore. Tutto qua. La riforma delle istituzioni o il ruolo dell'Europarlamento non interessano a nessuno, conclude: adesso è il momento del pragmatismo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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