H anno ottenuto solo lo slittamento della firma del dpcm. E dopo una notte di passione e braccio di ferro si sono ritrovati a leggere pressoché lo stesso decreto fatto trapelare sotto forma di bozza nel pomeriggio di sabato. I presidenti di Regione sono gli sconfitti della partita in notturna giocata fino alla prima mattinata di ieri, quando il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha deciso di firmare il testo con le misure per la nuova stretta. L'unica concessione, minima, l'apertura di bar e ristoranti fino alle 18 anche la domenica e i festivi.
Ma i governatori chiedevano ben altro. In una lettera fatta recapitare sabato sera a Palazzo Chigi, la Conferenza delle Regioni avvertiva che la serrata alle 18 sarebbe stata un colpo mortale per migliaia di ristoratori, auspicando una virata di Conte su una linea più morbida: chiusura alle 23. Nulla di fatto. La maggioranza dei presidenti delle Giunte regionali, soprattutto Stefano Bonaccini e Luca Zaia, puntava a eliminare la «forte raccomandazione» a evitare gli spostamenti, assicurando invece la libertà di movimento tra le regioni. Fallito anche il blitz sulla didattica a distanza al 100% per scuole superiori e università. Il governo, su pressing del ministro dell'Istruzione Lucia Azzolina, ha tenuto la barra dritta sulle lezioni online al 75% per l'istruzione superiore e universitaria. Non accolta nemmeno la richiesta di fare tamponi esclusivamente ai sintomatici. Un documento univoco, sottoscritto da governatori di centrodestra e centrosinistra, di fatto bocciato dal governo, nonostante il muro contro muro della notte tra sabato e domenica.
Anche in queste ore, le Regioni tentano di farsi portavoce del disagio dei ristoratori e dei gestori di piscine e palestre, i più colpiti dalle decisioni contenute nell'ultimo dpcm. Chiedono al governo «interventi di ristoro in tempi rapidi» per le categorie in difficoltà. C'è comunque molta irritazione per il pugno duro dell'esecutivo, con il Pd a guidare i rigoristi. Proprio i governatori del Pd, il giorno dopo, sono i più in imbarazzo. Bonaccini, presidente della Conferenza delle Regioni, tace. Vincenzo De Luca, dalla Campania, si fa improvvisamente portavoce delle ragioni di titolari di bar e ristoratori, quindi ripone nel cassetto il decreto sul lockdown.
Nello Musumeci, governatore siciliano, precisa che la sua ordinanza che sabato aveva decretato il coprifuoco dalle 23 alle 5 resta valida. Nel dpcm non sono previste restrizioni alla circolazione notturna delle persone, ma le Regioni hanno la facoltà di adottare misure più restrittive. Quindi il coprifuoco può restare in vigore nelle regioni che lo hanno varato, come Lombardia, Piemonte, Calabria e Campania, oltre alla Sicilia. Musumeci attacca Palazzo Chigi: «Il governo si è assunto la responsabilità di far pesare le chiusure sui settori della ristorazione, della cultura e dello sport, le Regioni avevano chiesto di fare altro». Giovanni Toti, presidente di centrodestra della Liguria dice: «Vista la situazione sanitaria, nuove misure andavano sicuramente prese, ma alcune appaiono francamente incongruenti e dal sapore punitivo: la chiusura alle 18 dei ristoranti ad esempio».
Luca Zaia, leghista presidente del Veneto, ribadisce lo stesso concetto: «Ci vuole equilibrio e non si può pensare che la partita si risolva scaricando tutto su poche categorie produttive. Peraltro, come nel caso dei ristoratori, categoria che ha sempre rispettato le linee guida». Dalle Regioni il nuovo partito del Pil.
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