La scienza parla chiaro: il raptus non esiste, è solo una giustificazione

Per spiegare un atto incomprensibile si usa il vizio mentale. Ma è solo narrazione

La scienza parla chiaro: il raptus non esiste, è solo una giustificazione

«Che non si parli di raptus o scatti d'ira» chiedono i Verzeni, attraverso i legali, a proposito dello scellerato omicidio della figlia Sharon. Ed hanno pienamente ragione, perché scientificamente parlando, il raptus non esiste. La psichiatria internazionale infatti, ha sempre escluso con fermezza l'esistenza del raptus, perché non se ne trova traccia nella patologia mentale, è considerato un concetto obsoleto ed inesistente dal punto di vista medico e clinico, che non va confuso con nessuna condizione psico-patologica in grado di ridurre la capacità di giudizio.

Nel linguaggio comune con questo termine si intende un impulso improvviso ed incontrollato (dal latino raptus: rapimento della mente) di forte entità, che porta il soggetto ad episodi violenti ed aggressivi verso gli altri o verso se stesso, in una ipotetica momentanea incapacità di intendere e di volere, per provare a giustificare l'azione di grande violenza, attenuando di conseguenza la colpa di chi la commette.

Il raptus infatti, è stato evocato nell'informazione cartacea e mediatica di questi giorni, per attribuire la causa di un orribile reato, come quello dell'omicidio di Sharon Verzeni, ad un fatto inspiegabile ed irrazionale, imputandolo ad una momentanea infermità mentale dell'assassino, e descrivendolo al pari di una soluzione narrativa efficace di un fatto di cronaca di sangue, come a giustificare l'efferatezza del delitto, dandogli la parvenza dell'impeto fulmineo ed incosciente, mortificando di fatto l'iter criminoso.

L'improvviso atto delittuoso costituisce uno dei capitoli più controversi della psichiatria clinica e forense, sempre critica verso il ricorso dei legali, del tutto inappropriato, ad una condizione mentale che non esiste dal punto di vista psico-patologico, poiché nell'omicida coesiste sempre una base di odio e di livore stratificato, che si accumula e cresce in modo latente, per esplodere in violenza efferata, senza che nella sua testa vi sia traccia di malattia mentale o psichiatrica.

La depressione è l'altra condizione patologica che spesso viene chiamata in causa nei fatti di cronaca nera, ma le persone depresse, la cui caratteristica principale è la paura o difficoltà del rapporto con gli altri, non sono assolutamente più esposte di altri a compiere crimini od azioni lesionistiche, anzi, spesso sono loro a compiere del male verso se stessi, senza alcun episodio di raptus.

Nelle crisi acute di angoscia, in cui concomitano turbamento emotivo intenso, emergenze impulsive, dismnesie e soppressione dell'affettività, non si è mai in presenza dell'incapacità di intendere e di volere, e non si può parlare di raptus inteso come turba episodica in senso lato, perché l'atto criminale è il gesto violento di una persona che vuole scaricare la sua rabbia, in pieno possesso delle proprie facoltà mentali, che rendono quindi il soggetto pienamente imputabile. L'uso improprio ed imprudente del termine raptus genera confusione nel grande pubblico, poiché veicola un messaggio errato dal punto di vista medico e clinico, e viene spesso usato dai media per dare un senso all'indefinibile, a ciò che è difficile comprendere, spiegare o comunicare, fornendo una informazione sbagliata, e soprattutto facendo diventare il raptus, nella percezione comune, una verità scientifica.

La Società Italiana di Psichiatria (SIP) già in passato è scesa in campo ed ha redatto una nota stampa per evitare di fornire, in nessun modo, una pur minima sponda agli atti criminali attribuiti ad ipotetici episodi di «raptus», dimostrando che in oltre 400 casi di omicidio esaminati, solo 3 degli assassini risultavano portatori di malattia mentale accertata, e che nessuno dei 400 crimini aveva nulla a che fare con il raptus, demolendo in tal modo dubbi e compromessi di natura psichiatrica nella individuazione giuridica delle cause motivazionali alla base di delitti.

Etichettare come malattia mentale un comportamento che appare incomprensibile, od un atto orribile che si presenta come inconcepibile, nella narrazione comune è un espediente per esorcizzare la paura, giustificare impulsi aggressivi e violenti attribuiti ad improbabili demoni interni, e tranquillizzare le nostre coscienze al cospetto di eventi insopportabili come quello accaduto alla povera Sharon, il cui assassino, disoccupato e senza fissa dimora, quella sera maledetta, con lucida premeditazione, era a caccia di una preda, armato di ben quattro coltelli, una vittima qualunque da ammazzare per soddisfare la sua rabbia repressa, il suo malessere e la sua frustrazione. Sul suo cammino notturno, ha incontrato una ragazza qualunque, che non conosceva, che si trovava al posto sbagliato nel momento sbagliato, e l'ha accoltellata a morte con quattro fendenti, lasciandola agonizzante e sanguinante sul selciato.

Una morte apparentemente senza un perché, una mano rabbiosa, violenta e crudele che non ha agito affatto di impulso o in preda ad un raptus, ma che ha voluto coscientemente ed in piena volontà e razionalità, spegnere a coltellate una giovane vita che il destino crudele e incrociato gli ha fatto trovare sul suo percorso, in una notte qualunque di fine luglio.

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