Lo scontro via social tra padri "nobili" delle Br sulla cattura di Curcio

Per l'arresto Franceschini incolpa Moretti, ma per Zuffada alimenta soltanto "le ciance"

Lo scontro via social tra padri "nobili" delle Br sulla cattura di Curcio

Mara Cagol aveva provato a spiegare che quel Frate Mitra non la convinceva. Perché si era presentato alle Brigate Rosse dicendo di avere combattuto con la guerriglia in Bolivia. Ma a lei, che era trentina, quell'andatura non sembrava proprio quella di uno abituato a andare per i monti. Mara sentiva puzza di infiltrato e di trappola. Non le diedero retta. E fu così che Renato Curcio venne catturato.

Sono passati quarantasei anni dal giorno in cui il fondatore delle Br fu arrestato grazie alla soffiata di Silvano Girotto, alias Frate Mitra. E un racconto inedito di quell'episodio cruciale degli esordi della lotta armata in Italia viene reso pubblico grazie allo scontro furibondo tra gli esponenti delle prime Br e un altro dei padri fondatori: Alberto Franceschini, cresciuto nel Pci di Reggio Emilia e nella mitologia della Resistenza tradita. Da tempo, Franceschini ha abiurato, oggi lavora all'Arci. E il 31 luglio ha rilasciato una intervista a Repubblica in cui ripercorre quegli anni. Parla anche dell'arresto di Curcio: perché insieme al leader venne arrestato anche lui. E dice una cosa brutale: che a farlo arrestare fu Mario Moretti, il tecnico della Siemens che sarebbe diventato il nuovo leader brigatista e l'inquisitore di Aldo Moro durante il sequestro.

Tempo due giorni, e arriva la risposta. La firma uno del nucleo storico: Pierluigi Zuffada, 74 anni, uno che è sempre stato zitto. Ma che ora parla, anche a nome di altri veterani. È una risposta altrettanto brutale, perchè Franceschini viene accusato di alimentare le tante ciance senza fondamento sulle Br «eterodirette», comprese quelle su un Moretti al soldo dei servizi segreti o almeno «ambiguo». Ma Moretti, ricorda Zuffada, «sta ancora scontando una pena a 39 anni dal suo arresto, a riprova della sua presunta ambiguità».

A Franceschini, l'ex compagno rinfaccia tante cose: dall'essere tornato all'ovile, lavorando per il partito da cui proveniva; alla più pesante, avere imposto all'inizio del sequestro Moro che le Br chiedessero in cambio dell'ostaggio la liberazione dei loro militanti detenuti, tra cui Franceschini stesso. Una richiesta impossibile, «un errore madornale che chiuse tutte le possibilità di manovra». Se Moro fu ammazzato, la colpa è di quella scelta.

A colpire (e a suscitare almeno un interrogativo) è però soprattutto la ricostruzione dell'arresto di Curcio e Franceschini. Quest'ultimo, tanto per cominciare, a Pinerolo non doveva esserci, «doveva andare solo Renato». La notizia cruciale è che «alla colonna milanese arriva una soffiata: l'appuntamento tra Renato e Girotto era una trappola. Non siamo mai riusciti a arrivare alla fonte di quella soffiata, in quanto della notizia erano a conoscenza solo i carabinieri di Dalla Chiesa e la Procura di Torino». Ma la trappola scatta lo stesso. Perché nel settembre '74 non esistono telefonini, e avvisare Curcio è impossibile. Moretti «accompagnato da due compagni, inizia un folle viaggio nella notte alla ricerca di Renato. Non sapevano dove abitasse a Torino, per cui decidono di andare a Piacenza da Franceschini», che conosce l'indirizzo del capo. Ma Franceschini non è in casa, Moretti e gli altri lo aspettano fino all'una sperando che sia andato al cinema, visto che ha lasciato le finestre aperte. Niente da fare. Allora nel cuore della notte corrono nell'Astigiano a cercare la Cagol, che è la donna di Curcio e sa sicuramente dove si nasconda: ma anche lei non c'è. Intanto le ore passano. A quel punto i tre corrono a Torino, sperando che «un contatto del luogo» possa aiutarli. Invano.

«A quel punto Mario e i due compagni prendono una decisione apparentemente folle: vanno al luogo dell'appuntamento a Pinerolo nella speranza di avvisare Renato prima dell'incontro con Girotto». Ma il luogo «pullula di agenti in borghese, la trappola era già scattata, i compagni riescono a svignarsela». Resta da chiedersi: chi fu a cercare di salvare dall'arresto il capo delle Br?

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