Siamo ai ferri corti. Momenti di tensione con la Francia ci sono sempre stati, dalle scalate ostili alle aziende italiane e viceversa fino alla guerra contro Gheddafi, fortemente voluta dall'ex presidente Nicolas Sarkozy. Naturalmente hanno solo portato danni, sia all'Italia sia alla Francia. In questi ultimi mesi, però, lo scontro è sempre più frequente e ha raggiunto livelli mai riscontrati prima, tanto che Parigi ieri ha deciso di richiamare l'ambasciatore Christian Masset. Dal ministero degli Esteri francese fanno sapere che il diplomatico rientra solo «per consultazioni», ma la crisi che si è aperta è grave, basti pensare che l'ultimo precedente risale al 1940, quando il governo Mussolini consegnò la dichiarazione di guerra alla Francia. Il Quay d'Orsay, infatti, ha parlato di «attacchi senza precedenti dalla fine della guerra» e «dichiarazioni oltraggiose» da parte del governo italiano. La crisi delle ultime ore è scoppiata dopo la puntata oltralpe del vicepremier Luigi Di Maio, il quale ha incontrato gli esponenti dei gilet gialli che da tre mesi ormai tengono in ostaggio la Francia. «Le ultime ingerenze ha affermato la diplomazia francese costituiscono una provocazione aggiuntiva e inaccettabile. Essere in disaccordo è una cosa, strumentalizzare la relazioni a fini elettorali è un'altra». Ma in casa grillina sembrano non tener conto del clima da guerra fredda. «Tutte le rivendicazioni dei gilet gialli sono nel contratto di governo ha replicato Di Maio - Macron è nervoso, gli sta fuggendo il Paese». Le elezioni europee alle porte hanno spinto governi e partiti di tutto il Vecchio Continente a dissotterrare l'ascia di guerra. E i Cinque Stelle, a caccia di alleanze, non intendono chetare le acque e tirano dritto, forse inconsapevoli che uno scontro frontale con Parigi farà dolere Macron ma farà altrettanto male, se non di più, al nostro Paese. La Francia è per noi un importante partner commerciale: nei primi dieci mesi del 2018 abbiamo esportato oltre 40 miliardi di prodotti a fronte di poco più di 30 importati.
A gettare un po' d'acqua sul fuoco ci ha pensato il vicepremier Matteo Salvini, il quale ha annunciato di essere disponibile a incontrare il presidente francese. Ma il leader leghista ha posto tre condizioni: la fine ai respingimenti sulle frontiere francesi, la restituzione dei terroristi rossi all'Italia e infine maggior rispetto per i pendolari italiani continuamente vessati al confine con la Francia. Insomma, questioni fondamentali che però da tempo alimentano la tensione fra Roma e Parigi. In primis, la questione immigrazione, che da mesi ormai è oggetto di scontro, non solo per i respingimenti ma anche per i numerosi blitz non concordati della gendarmeria francese sul nostro territorio. La Francia ha chiesto scusa, ma le operazioni di polizia si sono ripetute. Il fronte immigrazione è forse il principale ostacolo a relazioni più distese. Più volte sono rimbalzati accuse e insulti da una parte all'altra delle Alpi, a partire dal caso Aquarius, la nave carica di migranti alla quale lo scorso giugno è stato impedito di sbarcare in Italia. Macron, in quell'occasione, accusò il nostro governo di «cinismo e irresponsabilità», definendo «vomitevole» la decisione di chiudere i porti italiani. E pensare che l'Eliseo ha chiuso i porti molto tempo prima di noi.
Alcuni problemi con i nostri cugini ce li trasciniamo da anni, come quello dei terroristi rossi latitanti che, grazie alla dottrina Mitterrand, hanno trovato rifugio in Francia. Sono numerosi, ma il caso più eclatante è stato quello di Cesare Battisti, evaso nel 1981 e fuggito a Parigi, dove, dopo un periodo di latitanza in Messico, ha vissuto indisturbato fino al 2007. Le richieste di estradizione erano sempre state respinte fino a quel momento ma stava cambiando l'aria. Così Battisti lasciò la Francia per trovare riparo in Brasile fino al suo recente arresto. Salvini da tempo chiede l'estradizione di tutti i latitanti. «Si tratta di condannati che fanno la bella vita con la residenza in Francia», ha detto il ministro dell'Interno.
Ma la crisi ha raggiunto il culmine lo scorso 21 gennaio, quando Di Maio ha accusato Macron di esercitare una «politica coloniale» in Africa. «La Ue ignora quello che la Francia fa in Africa. La Francia stampa il franco delle colonie con cui si fa finanziare parte del suo debito», era l'accusa grillina. Un retaggio coloniale, ideato da De Gaulle e nato per dare stabilità finanziaria a 14 Paesi africani. Parole pesanti che lasciano il segno, tanto che Parigi ha deciso di convocare per chiarimenti la nostra ambasciatrice Teresa Castoldi. Le polemiche, però, non hanno fine. Altro terreno di scontro è la solita, benedetta Tav. I francesi si aspettano che onoriamo gli impegni per la Torino-Lione, ma il M5s non ne vuole sapere, a prescindere dalle penali milionarie che saremo costretti a pagare fermando i lavori. La ciliegina sulla torta? Le posizioni divergenti sul Venezuela.
Mentre Parigi e le più importanti capitali europee sconfessano il brutale regime di Maduro, Roma va per conto suo, spinta dall'anima grillina nel governo. Salvini prende le distanze da Conte e Di Maio, ma la frittata è fatta.
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