«Licenziate Giannini». A pochi giorni dagli attacchi incrociati firmati da Michele Anzaldi e da altri parlamentari renziani contro il conduttore di Ballarò, il giornalista prende il microfono e replica in diretta all'offensiva del nuovo corso Pd. Un j'accuse che punta il dito contro il concetto di servizio pubblico «inteso come utile a chi governa piuttosto che al telespettatore». Con una postilla finale: «La Rai mi può licenziare, il Pd con tutto il rispetto no». Sarà interessante vedere se dai nuovi vertici dell'azienda si leveranno parole in difesa del giornalista o si sceglierà il silenzio.«A leggere il profluvio di dichiarazioni dei parlamentari del Partito democratico, innescati come spesso succede dal membro della commissione di Vigilanza Michele Anzaldi, non so se ridere o piangere» attacca Giannini. «Anzaldi mi accusa di aver offeso il ministro Boschi, perché durante l'ultima puntata di questa trasmissione ho usato la formula «rapporti incestuosi» per definire il pasticcio che si è creato, tra management, politica, massoneria e finanza, intorno a Banca Etruria. Per questo dice Anzaldi - la Rai mi dovrebbe «licenziare». Altri esponenti del Pd, generosi, mi offrono almeno una scappatoia: «Giannini chieda scusa».
Qualcuno lo fa a scoppio ritardato. Ernesto Carbone era qui in studio a Ballarò, martedì scorso, magari ve lo ricorderete, e proprio a lui mi rivolgevo con la formula «incriminata», sintetizzando quanto avevano appena sostenuto il collega Antonio Padellaro e l'onorevole Mara Carfagna a proposito del presunto conflitto di interessi di Maria Elena Boschi e di suo padre Pierluigi. In quel momento, durante la diretta, Carbone non ha battuto ciglio, né obiettato alcunché (non essendoci evidentemente nulla da obiettare, tanto era chiaro e «innocente» il senso delle mie parole). Ma ventiquattrore dopo deve aver cambiato idea, forse folgorato dall'accusa postuma di Anzaldi». «Allora, in mezzo alla bufera, mi preme sottolineare due cose. È penoso che, per contestare un programma evidentemente considerato fuori linea, si usi un argomento così strumentale. E si trasformi in un'offesa personale al ministro Boschi una frase che, per il significato e il contesto in cui è stata pronunciata, non poteva e non può prestarsi ad alcun genere di equivoco. Ma nel partito di maggioranza c'è chi fa finta di non capire, e utilizza questo episodio come una «clava» contro Ballarò (vezzo non nuovo, per altro). La cosa mi indigna. E mi dispiace molto. Ma non capisco proprio di cosa dovrei «chiedere scusa», pubblicamente, dal momento che, come si direbbe nel gergo dei tribunali, «il fatto non sussiste».
Quello che sussiste, viceversa, è l'ennesimo paradosso di un Palazzo che, di fronte ai tanti problemi in cui si dibatte l'Italia e ai tanti interrogativi che assillano il mondo, perde tempo a sollevare polveroni del genere. Ma quello che sussiste è anche l'ennesimo attacco a chi cerca di fare solo informazione. È l'ennesima torsione del concetto di «servizio pubblico», utile se serve a chi governa, più che a chi guarda la tv». Di certo «non spetta ai partiti decidere chi può lavorare nella prima azienda culturale del Paese. A meno che non si debba dar ragione a Roberto Saviano, quando scrive «ciò che sotto Berlusconi era inaccettabile, adesso è grammatica del potere.
La Rai mi può licenziare. Il Pd, con tutto il rispetto, proprio no». E intanto si compone il puzzle renziano in Rai. il corrispondente da Parigi ed ex direttore del Tg3 dal 2001 al 2009 Antonio Di Bella sarà il prossimo direttore di Rainews24.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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