La scure di Bruxelles per i diritti civili. Ma ha ignorato la minaccia dei migranti

La Ue ha perseguito il governo ultra conservatore di Varsavia per il caso giustizia. Senza affrontare il nodo dei confini esterni

La scure di Bruxelles per i diritti civili. Ma ha ignorato la minaccia dei migranti

Su chi sia il responsabile dello spregiudicato assedio alla frontiera europea della Polonia restano pochi dubbi. Il mandante del nuovo ricatto all'Europa, condotto con la collaudata arma dei migranti, è inequivocabilmente il dittatore bielorusso Alexander Lukashenko. È lui a far atterrare a Minsk con la complicità della compagnia di bandiera Belavia, e di altre spregiudicate linee aeree, centinaia di migranti curdi, afghani e siriani per poi spingerli verso la frontiera. L'obbiettivo, assolutamente evidente, è costringere l'Europa a trattare il ritiro delle sanzioni imposte alla Bielorussia dopo la ennesima e discussa rielezione del suo presidente. Ma se indicare il «cattivo» è facile, elencare i «buoni» non è altrettanto semplice. Difficile inserirvi una Polonia indifferente, in passato, a tutte le richieste di redistribuzione dei migranti avanzate da paesi perennemente in prima linea come Italia, Grecia e Spagna. Ma anche l'Europa, per quanto vittima di un palese ricatto, non può dirsi esente da colpe e responsabilità.

L'indolenza e l'ignavia dell'Unione sono, in verità, ancor più gravi dell'egoismo polacco. E non solo per l'incapacità di esercitare quella sovranità sulle proprie frontiere esterne tante volte rivendicata. In questo caso la presunzione europea di controllare i propri confini esterni supera la soglia del ridicolo. Nonostante abbia sede e comando a Varsavia Frontex, l'agenzia europea preposta al controllo delle frontiere esterne, risulta, in questo momento, completamente tagliata fuori da una partita che rischia di sfociare in un scontro armato tra le forze di Lukashenko e quelle di Varsavia. Ma la fiacchezza e la debolezza di un'Europa incapace di contrapporsi alle pressioni di stati-canaglia come la Bielorussia o la Turchia sono, in fondo, fatti risaputi. Ben più grave è, in questo caso, l'evidente incapacità dell'Unione di distinguere tra una minaccia di portata veniale e una potenzialmente letale non solo per la Polonia, ma per l'intero continente.

Anziché denunciare e disinnescare la spada di Damocle sollevatale sulla testa dal dittatore bielorusso, l'Europa ha preferito, negli ultimi mesi, cercar di metter alle corde un governo polacco accusato di infrangere e calpestare lo stato di diritto. Ma mentre i vertici della Commissione crocifiggevano con un foga quasi masochista uno stato membro responsabile di una discutibile, ma non irreversibile, riforma del sistema giudiziario, l'invasione manovrata da Lukashenko era già alle porte. I timori di una pressione esercitata sfruttando l'ondata di profughi in arrivo dall'Afghanistan circolava infatti dalla fine di luglio. E le intenzioni di Minsk erano state ripetutamente «indicate» e «rivelate» dai rappresentanti di Estonia, Lituania e Polonia. Ma l'Europa prigioniera delle sirene del progressismo ha preferito ignorare la minaccia evidente e concreta esercitata dal dittatore di Minsk, per inseguire quella più pretestuosa e ideologica evocata nel nome del politicamente corretto. Così nel tentativo di mettere alle corde un governo troppo conservatore per i gusti europei si è preferito ignorare la minaccia e la tragedia che montava alla frontiera polacca.

E mentre il Consiglio Europeo metteva la sordina agli allarmi sull'emergenza migratoria sollevati da Mario Draghi, l'Europa si rivelava, una volta di più, incapace di prevenire un'emergenza varando misure e provvedimenti concreti. Dimostrandosi incapace di difendere gli interessi dei propri cittadini e inadeguata ad esercitare l'asserito ruolo di potenza sovranazionale.

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