Se il Belgio è il nostro buco nero

Troppe incertezze, ritardi e falle delle forze di sicurezza. È come se il centro della trincea fosse sguarnito di fronte al nemico

Se il Belgio è il nostro buco nero

«Bruxelles è la metafora di tutto quello che può andar male in una città». Scrivendo poco meno di 20 anni fa lo storico Tony Judt aveva in mente il caos urbanistico di una piccola metropoli (1,2 milioni di abitanti) occupata da migliaia di burocrati arrivati da tutta Europa. Oggi si può dire lo stesso per le difficoltà che la capitale belga incontra nell'affrontare la lotta al terrorismo. Le dichiarazioni della polizia successive agli attentati di ieri («sapevamo che qualche cosa poteva succedere»), l'atteggiamento incerto e contraddittorio tenuto in molte circostanze, il coprifuoco e le retate a vuoto che per giorni interi avevano bloccato la città dopo gli attacchi parigini, comunicano l'impressione di una sostanziale impotenza delle forze di sicurezza. Perfino il maggior successo delle ultime settimane, la cattura di Salah Abdeslam, ha contribuito paradossalmente a rafforzare questa percezione. Il terrorista non si era mai mosso dal suo quartiere, Molenbeek, e come si vede dalle immagini i poliziotti lo catturano, mantengono una formazione di difesa, quasi temendo un contrattacco, lo caricano in macchina in tutta fretta e si allontanano. Se i simboli hanno un senso non è lo Stato belga che riafferma con sicurezza la potestà della legge, catturando il terrorista latitante; piuttosto è l'operazione di un'unità speciale che agisce in territorio nemico. Tim King, una delle firme di Politico, rivista online fondata a Washington e con un'edizione europea che ha sede proprio a Bruxelles, ha scritto che il Belgio appartiene alla categoria dei «failed states», come la Somalia o il Ciad della guerra civile, uno di quegli Stati che non sono in grado di esercitare la propria sovranità sul territorio. Affermazione provocatoria ma che coglie la preoccupazione di molti osservatori: se l'Europa è in guerra contro il terrorismo di matrice islamica, proprio nel suo cuore si nasconde un buco nero. Come se il centro della trincea fosse sguarnito di fronte al nemico. La sfida è impegnativa: società aperte come quelle europee non si possono militarizzare e il terrorismo è un pericolo per tutti. Ma a Bruxelles il vero problema è l'insufficiente capacità di repressione: il Belgio «non è all'altezza» della minaccia, ha detto chiaro e tondo, già prima degli attacchi di ieri, Alain Chouet, ex numero uno del Dgse, il servizio segreto francese che si occupa dell'estero. Sul banco degli imputati la barocca struttura dei servizi di sicurezza. Sulla carta le strutture operative sono due (non hanno poteri di polizia, affidati a polizia federale e locale): la cosiddetta Sûreté de l'Etat (servizio segreto civile) dipendente dal Ministero della Giustizia, e il Sgrs, servizio militare dipendente dal Ministero della Difesa. A coordinare le due gambe sono una serie infinita di comitati. Il più importante è il cosiddetto Ocam, «Organismo di coordinamento per l'analisi delle minacce terroristiche», che, ironia della sorte, proprio ieri mattina doveva essere sottoposto a un processo a porte chiuse di fronte a due commissioni parlamentari per le molte decisioni sbagliate assunte dal 2012 in poi.

Il problema vero però sono dimensioni e efficacia delle due strutture: fino all'anno scorso il bilancio del servizio civile era di 50 milioni di euro, «come quello di un giornale», ha scritto il quotidiano Le Soir. Gli impiegati dovrebbero essere 750 ma 150 posti sono vacanti. Una quarantina di persone sono state assunte. Ma per addestrarle ci vorranno due anni.

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