Vietato ricordare il Msi ma tappeti rossi per celebrare il Pci. È tutta qui la contraddizione della sinistra italiana che, dopo aver attaccato Ignazio La Russa e Isabella Rauti, si è schierata a difesa della memoria del Partito Comunista Italiano. Protagonista il governatore dell'Emilia Romagna, nonché candidato alla segreteria del Pd, Stefano Bonaccini che, sentitosi chiamato in causa tra chi aveva celebrato nel 2021 il centenario del Pci, su Twitter ha scritto:«Io non ho celebrato proprio nulla. E in ogni caso va ricordato che il Pci in Italia partecipò alla Resistenza, contribuì a sconfiggere un regime assassino, a fondare la Repubblica, scrivere la Costituzione, battere il terrorismo. Studi la storia italiana, magari. Le farà bene».
Non soddisfatto, ha poi pubblicato una foto che lo ritrae sotto la bandiera rossa del Pci con la falce e martello e la scritta «sez. porto di Livorno». Lecito chiedersi se l'idea di futuro che ha Bonaccini per il Pd sia quella rappresentata dalle idee del Pci e soprattutto se sia opportuno continuare a celebrare un partito che si rifà a un'ideologia che ha fatto milioni di morti del mondo come il comunismo.
Anche perché nel 2019 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione (votata dai socialisti) in cui condanna tutti i regimi totalitari equiparando nazismo e comunismo. Il fatto che in Italia non ci sia stato un regime comunista, non legittima a celebrare (peraltro con soldi pubblici) un'ideologia che andrebbe invece consegnata alla storia.
Facciamo però tesoro dell'invito di Bonaccini con un breve ripasso di storia. Partiamo dal 1956 quando la dirigenza del Pci si schierò a favore dell'Unione sovietica contro gli ungheresi che lottavano per la loro libertà durante la rivoluzione ungherese venendo massacrati dai carri armati sovietici.
Oppure ricordiamo quanto emerso dopo la diffusione del dossier Mitrokhin con i finanziamenti segreti ricevuti dal Pci e provenienti dal Kgb. Un coinvolgimento con l'Unione sovietica non solo di carattere economico ma anche basato su scambi di informazioni e addirittura sull'addestramento di alcuni membri del Pci da parte dei sovietici. D'altro canto, il mito dell'Urss è stato duro a morire per la dirigenza comunista italiana almeno fino a tangentopoli in cui rimase invischiato anche il Pci. Inoltre, nel libro «Pasolini e il suo doppio», Marco Belpoliti ricorda quando nel 1949 Pier Paolo Pasolini fu espulso dal Pci, ufficialmente per «deviazioni ideologiche» ma in verità per la sua omosessualità «a seguito di uno scandalo a sfondo sessuale che coinvolge un gruppo di ragazzi friulani».
Prima di lasciarsi andare ad esternazioni agiografiche e farsi fotografare sorridenti sotto la falce e il martello, caro compagno Bonaccini, la storia occorrerebbe conoscerla davvero e non fermarsi agli slogan di partito, ieri come oggi.
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