
Ma cos'è questa ondata di proteste da parte della magistratura? Davvero, con la riforma in arrivo, si porrà fine alle polemiche che per anni hanno contrapposto i giudici alla politica?
Se il tuo lavoro di magistrato ti consente uno stipendio sontuoso, l'immunità da critiche e una totale irresponsabilità dal punto di vista civile, forse dovresti considerare di non usare la tua posizione per attaccare i rappresentanti del governo che ti concede tali privilegi. Dopotutto, la tua libertà di parola non dovrebbe essere illimitata, soprattutto quando le tue decisioni influenzano la vita di milioni di cittadini. Questi, infatti, subiscono le tue sentenze, ma tu non risponderai mai in modo serio per le conseguenze delle tue azioni.
Non è vero che la giustizia è il fondamento della democrazia. È la democrazia che è il fondamento della giustizia. In Cina la giustizia funziona «bene» e nella Russia di Stalin la giustizia era «impeccabile». Ma la giustizia che ha valore in un contesto democratico è quella che deriva dal consenso popolare, che solo la politica può legittimamente suscitare. Il giudice non è un sacerdote, ma un servitore della legge che si piega alla volontà collettiva espressa attraverso il voto.
Questo assurdo concetto di magistratura come garante della democrazia quasi un «sacerdote» del sistema è il segno di quanto la magistratura abbia perso il contatto con la realtà e si sia rifugiata in un mondo a parte. In questo mondo, i giudici si attribuiscono competenze che esulano dalla loro funzione originaria. Questo modo di fare, e il concetto di una magistratura che occupa spazi lasciati vuoti dalla politica, fa parte di una narrazione distante dalla realtà e dalle problematiche concrete che hanno segnato gli ultimi trent'anni.
Le inchieste giudiziarie, spesso, hanno screditato la politica, minato la fiducia nei valori dello Stato e della Costituzione. Siamo arrivati al punto di far credere che tutti i politici siano delinquenti. In un Paese dove un giudice, con un avviso di garanzia, può decidere chi sono i «cattivi politici», la democrazia è in pericolo.
La giustizia non può precedere la politica. La politica si fonda sul consenso democratico, che si esprime attraverso le leggi votate dai parlamentari eletti. «I giudici sono soggetti solo alla legge», come recita l'articolo 101 della Costituzione, ma la legge è espressione di quel consenso.
I politici devono ispirare fiducia nel sistema e convincere i cittadini a comportarsi bene e a rispettare le leggi. Se qualcuno trasgredisce, i giudici devono punire, ma non devono mai dimenticare che il loro compito è applicare la legge, non interpretarla a loro piacimento.
Purtroppo, la giustizia non sembra essere la priorità per molti magistrati, che continuano a invocare l'indipendenza senza considerare le gravi problematiche legate all'amministrazione della giustizia, una delle criticità più gravi del nostro Paese.
Quando un giudice è chiamato a trattare il caso di un politico, dovrebbe avere il senso della misura, pensando alle ripercussioni che le sue azioni potrebbero avere sulla fiducia dei cittadini nelle istituzioni. Non dovrebbe affrontare tali casi con l'euforia di chi vede una carriera fiorire sulle disgrazie altrui, spesso finendo per accusare qualcuno che, dopo anni, si dimostrerà innocente.
Un tempo si faceva riferimento al principio della ratio legis, cioè al criterio ispiratore di una legge, all'intenzione che ne sta alla base. Questo principio sembrerebbe abbandonato, altrimenti non si spiegherebbe come mai i magistrati, quando una legge non piace loro, cerchino in ogni modo di ostacolarla con decisioni che vanno contro i suoi stessi principi ispiratori.
Così facendo, la magistratura diventa un ostacolo alla democrazia, rifiutandosi di sottoporsi alla legge, e quindi al consenso democratico. E se c'è uno scontro tra legge e magistratura, non può che prevalere chi ha il consenso democratico. Altrimenti finirebbe la democrazia.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.