Tra la tecnologia e il legislatore è una battaglia impari: la prima anticiperà sempre il secondo. Non c'è nulla da fare, troppo veloce e anarchica la prima, troppo pachidermico e burocratico il secondo. Per questo, da anni, le leggi che riguardano l'infinito ecosistema della comunicazione - che praticamente abbraccia tutti gli ambiti delle nostre vite - di fatto sono in balia delle multinazionali e dei loro padri-padroni. Gli Stati inseguono i colossi, sono anch'essi follower dei grandi continenti invisibili delle reti sociali. La decisione presa ieri dal garante della privacy, che blocca OpenAI (la società che gestisce ChatGPT, la piattaforma più conosciuta di intelligenza artificiale) è un tentativo tardivo di arginare un fenomeno che sta assumendo dimensioni gigantesche. Ma nel momento nel quale, a giusta ragione, si cerca di gestire il flusso indiscriminato di dati personali, lo sviluppo dell'intelligenza artificiale è già andato oltre, sta già correndo verso esiti che nessuno riesce a prevedere. Sia chiaro: quello della privacy è un faldone che andava messo sulla scrivania, ma è il problema di ieri l'altro, non di domani. Perché gli scenari che l'ia pone sono talmente vasti da configurarsi come una vera e propria rivoluzione sociale, economica e culturale. Mentre il garante metteva il lucchetto a chatGPT, veniva svelato il progetto della quinta versione della piattaforma, in grado di sviluppare un'intelligenza praticamente indistinguibile da quella umana.
Tutto a pochi giorni dall'allarme lanciato da mille esperti - tra i quali Elon Musk - che propone di sospendere gli esperimenti sulla ia proprio per concedere il tempo necessario per elaborare le regole per il suo controllo. Perché non c'è nulla di peggio che lasciare una presunta intelligenza artificiale in mano a una stupidità umana.
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