La Repubblica italiana ha avuto nei suoi settant'anni una quindicina di figure eminenti, statisti e leader di partito che l'hanno fondata, guidata e dominata. Statisti come De Gasperi, padri fondatori come Sturzo, padri costituenti come Calamandrei, uomini di governo e di partito come Fanfani e Moro, Andreotti, De Mita, capi socialisti come Nenni e Craxi, laici come Malagodi, La Malfa e Spadolini, comunisti come Togliatti e Amendola, oppositori di destra come Almirante e radicali come Pannella. Figure di primo piano, assai diverse tra loro, per ruolo, indole e giudizio, ma unite da un destino: nessuno di loro è diventato presidente della Repubblica. Sorte curiosa per una Repubblica, ma i suoi presidenti sono stati piuttosto notabili, a volte anche di secondo piano: il più autorevole fu Einaudi e prima di lui De Nicola, entrambi monarchici; e poi notabili democristiani da Gronchi a Scalfaro, o Segni, Leone e Cossiga, su cui si esercitò la macchina del fango; esponenti come Saragat e Napolitano, capi partigiani come Pertini o banchieri come Ciampi. Ma nessun vero leader o statista, nessun leader di partito di massa o di grande popolarità, nessun riformatore con significative esperienze di governo, se non di governi di transizione o balneari (e nessun romano, lombardo o adriatico).
È questa l'anomalia della Repubblica italiana, senza presidenzialismo niente capi alla De Gaulle o Mitterrand, alla Kennedy o Nixon, solo gregari o notabili. Così sarà pure stavolta. Il galletto è Renzi, per il Colle cercano la gallina.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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