Senato alla conta: mozioni di sfiducia sul petrolio

Oggi i due documenti delle opposizioni, ma il Pd è sereno: "I numeri ci sono"

Senato alla conta: mozioni di sfiducia sul petrolio

Roma - Gli ultimi sei mesi di Matteo Renzi sono cominciati ufficialmente ieri, nelle audizioni sul Def del governo. E sarà tutta una questione di numeri, di maledetti numeri.

Sono quelli della maggioranza in Senato, che impediranno di approvare le mozioni di sfiducia presentate da tutte le opposizioni, per la prima volta compatte al voto in aula. Lo scandalo di Tempa Rossa sarà dibattuto da oggi in lungo e largo, tanto da far toccare con mano quanto «la situazione soggettiva del presidente del Consiglio e di altri ministri, alla luce dei nuovi fatti emersi, risulti sempre più incompatibile con la delicatezza degli incarichi da essi ricoperti», come si legge nell'atto di accusa grillino. Appare ormai «minata» l'autorevolezza di un governo «debole», ridotto al lumicino, come è scritto nella mozione del centrodestra. Sarà colpa perciò dei numeri se alle considerazioni politiche non seguiranno le vie di fatto: ancora una volta «Verdini aiuterà Renzi a farla franca», spiega il capogruppo leghista Centinaio. E la maggioranza starà serena, confermava il pidì Russo, perché «non ci sarà problema di numeri, non è la prima sfiducia né l'ultima, e d'altronde è questo è il loro mestiere».

Maledetti numeri. Come quelli economici ascoltati ieri nella commissione Bilancio di Palazzo Madama, forniti da Bankitalia, che hanno concesso un quadro della situazione assai meno lusinghiero e favorevole di quello presentato dal governo e dal suo capo. «Bankitalia non ha voluto dire in maniera esplicita che il Def è tutto da rifare, ma lo ha lasciato intendere», ha raccontato il capogruppo azzurro Brunetta. Tutte le stime vanno riviste al ribasso, ha spiegato il vicedirettore generale di Bankitalia, Luigi Federico Signorini. E le Regioni rifiutano i tagli lineari «difficilmente sopportabili e poco realistici»; di riflesso chiedono di riconoscere alle Regioni una quota della flessibilità Ue del deficit.

Ancora numeri, ma numeri incontrovertibili d'ottobre esprimeva perciò l'altra notte, la notte del referendum, il volto dello sconfitto Michele Emiliano. Così come quello del vincitore Renzi. Dal referendum è trapelata difatti una sorpresa che va al di là delle trivelle e dei trivellatori mediatici. Esistono 13 milioni 343mila (tanti sono stati i «sì») elettori altamente fidelizzati che vanno a votare persino su un quesito «pretestuoso, strumentale e inconsistente» - tanto per usare le dissuasioni di Napolitano - se c'è da battere Renzi e la sua grancassa insopportabile. I numeri danno perciò ragione a Emiliano, il premier l'ha capito. Così il leghista Calderoli, che parla dell'emersione di «uno zoccolo duro per fare le scarpe a Renzi». O il vendoliano Fratoianni, che dà l'appuntamento: «15 milioni ci saranno pure a ottobre».

O il candidato romano Francesco Storace, come sempre lapidario nell'inviare 15 milioni di pernacchie a Palazzo Chigi con questo monito: «Sei mesi a ottobre e al referendum vero te ne vai». Il ciaone sta per diventare un «addione».

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