Il centrodestra dimostra di fare sul serio e taglia il primo traguardo delle riforme. Dopo giornate di tensione, tentativi di sprint, frenate, proteste e ostruzionismo delle opposizioni, la maggioranza approva il ddl sul premierato a Palazzo Madama con 109 si, 77 no 1 astenuto. Il provvedimento passa ora alla Camera. Dovrà poi tornare al Senato e infine nuovamente a Montecitorio, trattandosi di una riforma costituzionale.
In aula a presiedere i lavori c'è Ignazio La Russa. La ministra per le Riforme istituzionali, Maria Elisabetta Alberti Casellati, il ministro per i rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, e il ministro per la Protezione civile, Nello Musumeci, sono seduti ai banchi del governo per assistere alle dichiarazioni di voto e al voto finale sul disegno di legge costituzionale. Alle 15.30 circa inizia la seduta. La maggioranza ha richiamato tutti alla presenza, in modo che la «madre di tutte le riforme» possa tagliare il primo traguardo senza sorprese. «È una riforma epocale grazie alla quale garantiremo l'elezione diretta del presidente del Consiglio e l'abrogazione dei senatori a vita. Due importanti obiettivi che rispondono a una visione del rapporto tra politica e cittadini diametralmente opposta rispetto a quella del centro sinistra», dice Costanzo Della Porta di FdI. E Lucio Malan si dice convinto che i cittadini si riavvicineranno alla democrazia e alla partecipazione «se pensano che il loro voto non viene superato da accordi mai presentati agli elettori o da Presidenti del Consiglio del tutto sconosciuti addirittura prima della loro nomina». Massimiliano Romeo, presidente dei senatori leghisti, rivendica il patto di maggioranza sulle riforme. «La critica delle opposizioni è che ci sarebbe questo scambio tra autonomia, premierato e giustizia. Non si chiama scambio ma accordo politico tra forze di maggioranza, che hanno tutto il diritto di farlo». E Maurizio Gasparri rivendica il diritto a rispettare il mandato degli elettori. «Le minoranze hanno chiesto semplicemente il ritiro della nostra riforma, ed è una proposta antidemocratica. Non ci arrenderemo al veto delle minoranze».
L'opposizione protesta in aula e scende in piazza, dandosi appuntamento in piazza Santi Apostoli per dire no a premierato e autonomia differenziata. Alla manifestazione prendono parte Pd, M5S, Verdi-Sinistra e +Europa, ma non Calenda che preferisce combattere in Aula. Si spacca il tandem Renzi-Bonino. Italia Viva sceglie di non andare in piazza («non scendiamo in piazza a fianco di chi vuol cancellare il Jobs Act e ritiene la riforma della giustizia e le riforme costituzionali un pericolo per la democrazia» dice Raffaelle Paita). Riccardo Magi di +Europa sale, invece sul palco insieme ai leader Schlein, Conte, Fratoianni e Bonelli.
Clima di euforia, invece tra i senatori di Fratelli d'Italia che inscenano un flashmob fuori Palazzo Madama. I parlamentari srotolano uno striscione con la scritta: «Fine dei giochi di palazzo» e intonano l'inno nazionale. Festeggia Giorgia Meloni: «È un primo passo per rafforzare la democrazia, dare stabilità alle nostre istituzioni, mettere fine ai giochi di palazzo e restituire ai cittadini il diritto di scegliere da chi essere governati».
Resta intatta l'ipotesi di un referendum. «Se dovessi guardare ai risultati di questa prima giornata, è più probabile il ricorso al referendum» dice Ignazio La Russa «ma non è nulla di drammatico, è la santificazione del volere popolare».
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