Separazione carriere, la maggioranza spinge. Oggi il primo "sì" al ddl del governo

Via libera in Commissione alla Camera, poi in Aula a novembre. Premierato congelato

Separazione carriere, la maggioranza spinge. Oggi il primo "sì" al ddl del governo
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Da sempre, il calendario delle commissioni Affari costituzionali di Camera e Senato è la principale cartina di tornasole delle priorità e delle intenzioni della maggioranza di governo. È dalla prima Commissione, infatti, che passano i provvedimenti più importanti, anche solo per una valutazione di conformità con la Carta. Per non parlare dei decreti legge o delle leggi costituzionali, compresa tutta la normativa che ha a che fare con la pubblica amministrazione, la sicurezza, l'immigrazione, gli enti locali, il servizio elettorale. Insomma, un gigantesco imbuto. All'interno del quale nelle ultime settimane sono andate cambiando le priorità. Non un dettaglio.

La commissione Affari costituzionali della Camera, presieduta dall'azzurro Nazario Pagano, ha infatti ricalibrato l'agenda: avanti tutta sulla separazione delle carriere (bandiera di Forza Italia ma su cui spinge anche Fdi), accelerazione sulla riforma della Corte dei Conti e gigantesca frenata sul premierato (riforma su cui Giorgia Meloni si è spesa in prima persona). La versione ufficiale è che c'è un tema di tempi, perché fra poco la Commissione sarà impegnata con la legge di Bilancio. Ma, ovviamente, non è affatto una questione di calendario. La sensazione, invece, è che vadano cambiando le priorità della maggioranza. Con una scelta consapevole e ragionata di congelare la riforma del premierato, che non entusiasma affatto Forza Italia (ma neanche troppo la Lega) e sulla quale anche Fdi inizia ad avere qualche timore. Perché se si dovesse andare a un referendum percepito dall'opinione pubblica come una scelta tra Meloni e Sergio Mattarella il risultato non sarebbe scontato.

E, dunque, avanti con la separazione della carriere. Con il presidente Pagano che proprio oggi (ore 14) farà votare in Affari costituzionali della Camera il ddl costituzionale del Guardasigilli Carlo Nordio come testo base, dando come termine per presentare gli emendamenti il 23 ottobre. Dopo si procederà alla valutazione nel merito e al voto delle eventuali modifiche e poi il testo passerà all'esame dell'Aula (la decisione spetta alla conferenza dei capigruppo, ma c'è un accordo politico su fine novembre, al più tardi inizio dicembre). Con l'obiettivo di un primo via libera di Montecitorio entro fine 2024.

In parallelo, si accelera anche sulla riforma della giustizia contabile. Ieri, infatti, le commissioni riunite Affari costituzionali e Giustizia di Montecitorio hanno adottato la pdl a firma del capogruppo di Fdi Tommaso Foti come testo base per rivedere le funzioni della Corte dei Conti. Un provvedimento che interviene su una questione cara non solo a Meloni, ma pure a Forza Italia e Lega (a differenza del premierato e dell'autonomia differenziata, su questo intervento la maggioranza è davvero compatta). Il tema è la cosiddetta «paura della firma» che affligge il funzionamento della pubblica amministrazione, con la maggior parte dei dipendenti pubblici che pur di non rischiare di incorrere in processi per danno erariale non si assumono più alcuna responsabilità. Di qui, l'intenzione di contenere l'azione delle procure regionali della Corte dei Conti, favorendo conciliazioni e mediazioni ed escludendo la responsabilità per colpa (resta ferma quella per dolo). Anche su questo fronte, l'intenzione è procedere veloci.

A differenza che sul premierato, di fatto congelato. In Affari costituzionali alla Camera, infatti, se ne riparlerà forse a gennaio, magari a febbraio. Con il testo uscito dal Senato che è destinato a essere modificato su tre punti chiave: premio di maggioranza (previsto in Costituzione ma che rimanda a una legge ordinaria), voto degli italiani all'estero (c'è una distorsione nell'elettorato attivo tra la capacità di eleggere parlamentari e il peso sul candidato premier) e presidente del Consiglio «di riserva» (indicato dal Parlamento ma con una forza politica maggiore rispetto a quello eletto).

Se tutto va bene, l'Aula si pronuncerà a marzo, con il premierato destinato a ricominciare da capo al Senato. E con il via libera definitivo sempre più lontano.

Così, solo a fine 2025 la maggioranza deciderà se approvare la «riforma delle riforme» e tentare la via del referendum oppure lasciarla cadere.

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