La sfida di Johnson senza il guru Cummings: dialogo su Covid e politica, Brexit non si tocca

Squadra del referendum travolta dalla gestione del virus. No deal più lontano

La sfida di Johnson senza il guru Cummings: dialogo su Covid e politica, Brexit non si tocca

Londra. Con l'uscita di scena di Cummings si insedia a Downing Street un nuovo governo. Non che Boris Johnson passi ora il testimone, ma l'influenza del consigliere politico sull'ex sindaco di Londra è stata così determinante, il suo ingombro nelle stanze del potere così eccessivo, che ora la sua dipartita inaugura giocoforza una nuova fase.

La cesura vera si avrà sulla politica interna, lì dove si è venuta a creare una frattura sostanziale tra il gruppo di Cummings e gli altri, intesi come consiglieri di Johnson, notabili del partito conservatore, commentatori e stampa che non ne hanno mai condiviso idee e, soprattutto, metodo: un'attitudine allo scontro perenne forgiata durante i mesi del soli contro tutti che condussero al voto sulla Brexit e a un granitico senso di appartenenza e lealtà. Allegra Stratton, il volto governativo nelle future conferenze tv in stile Casa Bianca, ha già fatto sapere che adotterà un approccio più dialogante. L'obiettivo primario del nuovo Johnson è recuperare il rapporto con un partito conservatore sempre più distaccato dal governo, disorientato dalle innumerevoli giravolte politiche degli ultimi mesi su esami scolastici di fine anno, pasti gratis nelle mense, mascherine, test di massa, per citare solo alcuni esempi. Cambi di direzione improvvisi e radicali, negati per settimane con una retorica tranchant che però contribuiva ad aumentare lo sconcerto quando il governo decideva di fare quanto negato fino al giorno prima. L'ultimo caso, forse il più grave, è stato il secondo lockdown, bollato per settimane come follia catastrofica cui non si sarebbe mai ricorsi. E invece Gli artefici della vittoria del Leave, irrotti a palazzo con l'obiettivo di rivoltare la macchina governativa e farla diventare più moderna ed efficiente, applicando metodi e approccio senza compromessi sviluppati durante il referendum, non hanno però saputo gestire la pandemia. Cacciando funzionari di lungo corso per ridisegnare la macchina proprio nel momento in cui, più di ogni altro, si doveva far leva sull'esistente. Il 2020 non era l'anno giusto per grandi progetti e riforme strategiche, Cummings non è riuscito ad adattarsi alle mutate condizioni esterne.

Dove le cose non cambieranno molto sarà la Brexit. A 45 giorni dalla fine del periodo di transizione le negoziazioni sono ancora in corso e i punti aperti sempre tre: pesca, concorrenza e sussidi statali, regole per la risoluzione della future controversie. Johnson è un sincero sostenitore dell'addio inglese all'Unione e ha mantenuto alla guida delle negoziazioni Frost, nonostante la sua vicinanza a Cummings. Ci potrebbe ora essere più spazio per un compromesso se Bruxelles non cercherà di approfittare della confusione inglese: in tal caso sarebbe certamente no deal.

Anche perché, con l'addio di Cummings, Johnson non può permettersi di cedere sulla Brexit: significherebbe perdere totalmente l'appoggio del Nord del Paese che gli ha dato fiducia un anno fa. L'hanno chiamato Rasputin, l'hanno deriso per l'abbigliamento, l'hanno additato come un eretico della politica, ma Cummings è stato tra i pochi a vedere i sentimenti che bollivano al di fuori della capitale.

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