È uscito l'altroieri dal carcere in cui era recluso dall'agosto scorso l'ex brigatista rosso Leonardo Bertulazzi, dopo che con due voti a favore ed uno contrario, la Corte di Cassazione penale argentina ha accolto la richiesta di rilascio della difesa di alias «Stefano», questo il suo nome di battaglia nelle Br. Decisivi i voti della più alta corte penale del paese del tango emessi dai giudici Alejandro Slokar e Ángela Ledesma, che hanno deciso che l'arresto del 71enne Bertulazzi - effettuato lo scorso 29 agosto dall'Interpol, Polizia argentina e la collaborazione di quella italiana - non ha tenuto in conto del radicamento dell'ex brigatista che «vive con la moglie da 20 anni nella stessa casa, di cui è proprietario» in Argentina e che «il 7 ottobre del 2004 era stato riconosciuto come rifugiato (dal governo all'epoca guidato da Néstor Kirchner)». Il giudice Slokar ha anche fatto riferimento all'effetto sospensivo dei ricorsi amministrativi e giudiziari contro l'incarcerazione che aveva dichiarato cessata la condizione di rifugiato politico per Bertulazzi accogliendo la richiesta della difesa dell'ex brigatista perché «si è dentro il termine di 180 giorni per presentare un ricorso e la garanzia di non respingimento deve essere rispettata finché il termine non è definitivo».
Il giudice Guillermo Yacobucci, ha invece votato contro il rilascio di Bertulazzi. Tre mesi fa la premier Giorgia Meloni aveva ringraziato il governo argentino del presidente Javier Milei per la cattura dell'ex membro della colonna genovese delle Brigate rosse, condannato a 27 anni in Italia per il sequestro, nel 1977, dell'ingegnere navale Piero Costa, della storica famiglia di armatori liguri. Il ministero della Sicurezza argentino presieduto da Patricia Bullrich aveva diffuso al momento dell'arresto un comunicato tanto sintetico come chiaro: «Bertulazzi è responsabile di crimini che hanno attentato ai valori democratici e alla vita di molteplici vittime», mentre fonti ufficiali del governo Milei spiegarono che era stato «localizzato e arrestato dopo che la sua condizione di rifugiato è stata revocata dalle autorità».
Oltre alla condanna per il sequestro Costa, Bertulazzi nel 1977 divenne uno dei dirigenti della Colonna 28 marzo delle Br, divenne un alto rango all'interno dell'organizzazione e fu coinvolto nella logistica del rapimento di Moro. Parte del riscatto di 1,5 miliardi di lire ottenuto in cambio del rilascio dopo 81 giorni di prigionia dell'ingegnere navale di Costa Crociere, nello specifico 50 milioni di lire, servirono infatti per acquistare l'appartamento di via Montalcini 8, dove venne tenuto prigioniero Moro. Negli anni 80 si persero le tracce di lui finché, insieme alla moglie tedesca Bettina Erika Liesecotte Hildergard Kopcke, riapparse ufficialmente come «lavoratore grafico» in El Salvador, dove i due prestarono servizio in un istituto sanitario comunitario, dal '92 al 2002.
Dopo dieci anni in America centrale la coppia era poi entrata dal Cile in Argentina, attraverso un valico di frontiera vicino a Bariloche su una moto Honda di grossa cilindrata. Dopo la sua liberazione, anche se «l'Italia attende l'estradizione di Bertulazzi, la sentenza della Cassazione allontana questa possibilità», scriveva ieri il quotidiano La Nación. Difficile dargli torto.
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