Non è più il giustiziere di corrotti, il fustigatore della casta disonesta, non è più il fondatore del Movimento manettaro né il garante dei processi di piazza, reale o virtuale. Beppe Grillo è un padre che difende sui social suo figlio, urlando e battendo le mani sul tavolo, aggredendo verbalmente giornalisti e magistrati che osano toccare la sua famiglia. Nella foga che gli fa salire il sangue al cervello e lo fa incespicare sulle parole, forse neppure si accorge che con quel minuto e mezzo di invettive sta demolendo il caposaldo ideologico del suo M5s: il giustizialismo.
Perché tutto va bene per gli altri, finché non si entra nella cerchia ristretta degli affetti più cari. E allora pm e giudici, osannati quando mettevano in galera o solo inquisivano politici e imprenditori giudicati colpevoli dal Venerabile, prima di qualsiasi processo, quelle toghe insomma che dovevano avere ogni potere e subire nessuna critica, ora sbagliano clamorosamente perché accusano di stupro il suo Ciro e gli amici di scorribande in Costa Smeralda. Non sappiamo se il giovane Grillo sia colpevole o innocente, per tutti come per lui dovrebbe valere quel garantismo che il padre ha sempre declinato come collateralismo, ma colpisce la pretesa di presentarlo già come vittima. Con la sola colpa di portare un cognome famoso.
«Mio figlio - attacca un Grillo paonazzo, nel video - è su tutti i giornali come uno stupratore seriale insieme ad altri tre ragazzi. Voglio chiedervi, voglio una spiegazione sul perché un gruppo di stupratori seriali, compreso mio figlio, non sono stati arrestati. Perché non li avete arrestati?». Sui canali social, l'ex comico dimostra di non voler far ridere nessuno ma di voler scatenare una delle sue famose campagne d'odio e di sospetto, stavolta in direzione opposta al solito. Al procuratore capo di Tempio Pausania Gregorio Capasso, che giovedì ha interrogato Ciro e gli altri giovani, dà zoppicanti lezioni di diritto pro domo sua. «La legge dice che gli stupratori vengono presi e messi in galera, interrogati in galera o ai domiciliari. Sono lasciati liberi per due anni... Perché non li avete arrestati subito?», chiede provocatorio e si dà pure la risposta. «Perché vi siete resi conto che non è vero niente, non c'è stato niente, perché una persona che viene stuprata la mattina, al pomeriggio va in kitesurf e fa una denuncia dopo 8 giorni vi è sembrato strano. E poi c'è tutto un video, passaggio per passaggio, in cui si vede che c'è un gruppo che ride, che c'è la consensualità, ragazzi di 19 anni che si divertono e ridono in mutande e saltellano con il pisello così... perché sono quattro coglioni». Ragazzate, insomma, e quei pm che non se ne vogliono accorgere. Magari, è il recondito messaggio, perché c'è da colpire un personaggio famoso, forse scomodo. E infatti ecco il finale, petto in fuori in difesa della prole: «Se dovete arrestare mio figlio, che non ha fatto niente, allora arrestate anche me, perché ci vado io in galera».
Ora, con tutta la simpatia per un ragazzo che davvero potrebbe essere innocente, ma anche con tutto il rispetto per la giovane italo-svedese che denuncia di essere vittima, la domanda è: perché Ciro non dovrebbe passare per le forche caudine di un'inchiesta ed eventualmente di un processo che accerti la verità come un qualsiasi Rossi italiano? Perché, suggerisce Beppe, un sistema giudiziario deviato potrebbe strumentalizzare la vicenda solo per produrre danni politici al fondatore e al suo movimento.
Giusto quello che Grillo ha sempre negato quando sotto i forconi giustizialisti finivano familiari di politici costretti alle dimissioni o peggio oppure leader espulsi dalla vita politica come Silvio Berlusconi, per lui «lo psiconano».
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