Tutto quello che dice deve essere filtrato con attenzione. Ma ogni volta che parla non lo fa a caso. Mai. Tutto si può dire di Evgenij Prigozhin tranne che non sia un personaggio poliedrico. Un po' assassino con tendenze da macellaio; un po' generale con ambizioni da politico. Almeno nelle intenzioni. Ambiguo, scaltro, senza scrupoli. Ma senza dubbio uno dei pochissimi in Russia che, nel bene e soprattutto nel male, dice quel vuole e quando vuole. Al punto da minacciare lo stato maggiore dell'esercito, imporre ultimatum e insidiarsi a suo piacimento nelle più alte sfere del Cremlino.
Questa volta lo ha fatto cancellando qualsiasi filtro. Con un video durissimo nei toni e macabro nelle immagini. In primo piano lui, che urla. Sullo sfondo, decine di cadaveri insanguinati. Suoi soldati della sua brigata di mercenari Wagner, uccisi al fronte a Bakhmut. Nel video la minaccia di lasciare la città assediata e insulti al ministro della Difesa Shoigu e al generale Gerasimov, accusati di non aiutare i suoi soldati con rifornimenti di armi e munizioni. «Voi feccia sedete lì nei vostri uffici costosi, siete delle puttane. I vostri figli si stanno tutti divertendo, registrando i loro piccoli video su YouTube. Se consegnaste la quota di munizioni richiesta ci sarebbe un quinto dei morti. Questi uomini sono venuti qui come volontari e stanno morendo perché tu possa ingrassare nei tuoi uffici di mogano. Anche questi sono padri di qualcuno. Sono figli di qualcuno. E quella feccia che non ci sta dando le munizioni si mangerà le budella all'inferno. Siamo a corto di munizioni per il 70%. Shoigu, Gerasimov, dove sono le munizioni? Guardateli, c...». Oggi, nella Russia di Putin, chiunque si azzardi anche solo a pensare un decimo di quanto detto da Prigozhin sarebbe passato per le armi. Oppure gli sarebbe servito un the arricchito da polonio o da chissà che altro. Invece lui tira dritto, continua, attacca frontalmente. E minaccia: «Il 10 maggio saremo costretti a ritirarci negli accampamenti arretrati a leccarsi le ferite. In assenza di munizioni, sono condannati a una morte insensata».
Minaccia fasulla o ultimatum reale, poco cambia. È un attacco frontale che l'oligarca, diventato straricco come presunto chef del Cremlino e organizzatore di eventi, indirizza a Mosca. Minando la credibilità dell'apparato bellico russo. Da una parte c'è la concretezza: senza armi e munizioni, non solo l'assedio di Bakhmut si concluderà ma finirà con un'altra cocente sconfitta per i russi, visto che l'onere dell'assalto è stato preso in carico dalla sola brigata Wagner. Ed oltre a essere una sconfitta strategica sarebbe una catastrofe a livello di immagine per chi sulla propaganda ha incentrato buona parte della propria strategia. Ma le sue parole sono anche un segnale a Putin. Cosa vuole? Potere, soldi, legittimazione? Un po' di tutto. Tanto che in un documento in 20 punti allegato ai video riscrive la storia del suo conflitto e della sua partecipazione. Prigozhin spiega che «le risorse offensive della Wagner sono terminate all'inizio di aprile» ma «dal 1 maggio burocrati pseudo militari ci hanno tagliato fuori da qualsiasi munizione di artiglieria». E aggiunge: «Chiunque abbia commenti critici, venga a Bakhmut, benvenuto, stai con le armi in mano al posto dei nostri compagni uccisi» e che «non dandoci proiettili stai privando il popolo russo della vittoria», concludendo però che «quando la Patria sarà in pericolo, di nuovo il popolo russo può contare su di noi», a far intendere che lui non vuole ritirarsi ma che è costretto. I cattivi, sono altri. Gli stessi che probabilmente vorrebbe scalzare. Non a caso dal Cremlino è arrivato un secco «no comment». Solo il leader ceceno Ramzan Kadyrov, altro personaggio per nulla raccomandabile, si è detto pronto a sostituire i Wagner con i suoi uomini in caso di ritiro. Ma la realtà è che mai come adesso la Russia è in difficoltà. E che Prigozhin sta diventando sempre più ingombrante. Il Cremlino è un bivio: legittimarlo e renderlo un eroe assecondandolo.
O farlo fuori, rischiando però di perdere ulteriore terreno. In ogni caso, buona parte delle sorti delle sorti del conflitto passano da lui. Con la Russia appesa a un macellaio. Che rimane tale, anche quando prova a vestirsi da statista.
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