«Nessun azionista, solo o con altre parti, avrà il controllo di Ant Group». Leggetele bene. E non sottovalutatene il significato. Quelle parole non sono soltanto un'arida regola societaria. Sono, al tempo stesso, l'epitaffio della via cinese alla Finanza e di quel Jack Ma, che per vent'anni ne ha rappresentato il simbolo. La frase è contenuta nel comunicato con cui Ant Group, il gruppo d'investimenti creato dallo stesso Jack Ma, annuncia una radicale ristrutturazione dei propri assetti. Una ristrutturazione che punta a sottrarre al fondatore il controllo del gruppo e del pacchetto di maggioranza. In pratica un'operazione suicida.
Un salto nel vuoto con cui l'ormai ex-magnate accetta sia di veder ridotta la propria quota societaria dal 50,5 al 6,2 per cento, sia di veder trasferito il potere decisionale nelle mani di un consiglio d'amministrazione legato al partito comunista e al presidente Xi Jinping. Del resto ai due estremi della transizione (o della guerra) che ridimensiona «Ant Group» e la trasforma da prototipo della nuova finanza cinese in mero strumento del potere centrale vi sono proprio il magnate e il presidente cinese. Tutto inizia alla fine degli anni '90 quando l'oggi 58enne Jack Ma, al tempo semplice insegnante d'inglese, entra sul nascente mercato d'internet con la società Ali Baba e ne conquista il monopolio. Il controllo di quel mercato e degli acquisti in rete effettuati da un miliardo e 400 milioni di cinesi non fa certo piacere a Xi Jinping arrivato, nel 2013, ai vertici del paese. Controllare le compere di un popolo significa, in fondo, controllarne scelte e preferenze. E non solo.
Grazie ad acquisti e pagamenti Jack Ma si aggiudica anche l'accesso a cruciali pacchetti di dati personali. Finisce, insomma, con il compromettere quel controllo delle scelte individuali e collettive su cui un autarca di rigorosa matrice comunista come Xi Jinping punta ad esercitare un totale monopolio. Lo scontro si trasforma in guerra non appena Jack Ma decide di trasferire le proprie attività nel nascente settore della finanza cinese. Se controllare gli acquisti di un popolo equivale a controllarne i desideri indirizzarne gli investimenti significa muoverne le risorse sottraendo al potere comunista la gestione assoluta dell'economia. Ma l'ambizioso disegno si rivela l'errore fatale di Jack Ma. Un errore che nel 2020 lo spinge a lanciare «Ant Group» un gruppo d'investimenti pronto, secondo l'offerta iniziale, a muovere assetti per oltre 37 miliardi e a far concorrenza ai principali gruppi finanziari del mondo. Una dimensione economica intollerabile per Xi Jinping. Per un presidente-autarca una simile capacità di manovra, esercitata non solo sul risparmio e sugli investimenti interni, ma anche su quelli stranieri, rappresenta un'evidente minaccia all'integrità economica del capital-comunismo di matrice cinese. Una minaccia amplificata dalla mancanza di strutture statali capaci di arginare un Jack Ma che nel frattempo si è già messo in cassaforte il 50,5% di Ant Group.
Il secondo evidente errore di Jack Ma è quello di criticare e attaccare pubblicamente le strutture di controllo che a metà 2020 incominciano a mettere i paletti al suo potere. Non a caso nel ottobre di quell'anno il magnate scompare dalla scena per più di tre mesi. Un periodo durante il quale viene «convinto» ad accettare il ridimensionamento economico e finanziario sancito ufficialmente ieri dal comunicato di «Ant Group». E così - dopo la ricomparsa in pubblico del gennaio 2021 - Jack Ma si trasforma nel fantasma di se stesso abbandonando sia la scena economica sia quella pubblica.
Scomparso dal palcoscenico della madre patria viene avvistato saltuariamente tra Macao, Tokyo e la Thailandia. Ma non è più né un profeta, né un magnate. È solo e soltanto uno sconfitto in esilio. Un esilio dal quale ha firmato, ieri, il definitivo atto di resa.
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