Povero Carlo Tognoli, che morte triste dopo una vita così importante, andarsene per Covid preso in ospedale dopo una frattura del femore. Certo, ogni morte è triste, ma a noi giornalisti cui tocca spesso scrivere di chi si è conosciuto perché è andato via, assistiamo durante la pandemia anche a questa disattenzione generale per la stupida crudeltà della morte. Tognoli è stato il volto della Milano tornata alla vita, detta anche la «Milano da bere» e dunque craxiana e per una lunga odiosa stagione detestata da tutti quelli che della prima ondata di odiatori dell'Italia del Dopoguerra, sia calda che fredda, che si espresse con l'odio anti Craxi e poi con quello seguente e conseguente contro Berlusconi. La «Milano da bere» fu in realtà la metropoli restituita al suo splendore dopo la cupissima stagione del terrorismo rosso, che la capitale lombarda aveva vissuto nella pena e nel sangue e che finì all'inizio degli anni Ottanta. Carlo Tognoli fu sindaco sia durante la stagione dura e buia del sangue, sia durante la rinascita che economica e civile, e anche dei divertimenti, della cultura e della socialità milanese. Era milanese in quel modo cittadino e schivo, anche molto spiritoso ma sempre sottotono.
Era moltissime cose: uno che si era mantenuto agli studi da ragazzo, un tecnico, un chimico farmaceutico, poi un bravo amministratore, una persona serissima molto amata specialmente dai sindacati e dai lavoratori perché era intrinsecamente socialista, di quel particolare socialismo milanese che lo aveva fatto viaggiare sugli stessi binari di Bettino Craxi che indossava quel suo grande impermeabile bianco sbottonato e aperto, ed erano grandi amici, molto di più. Erano veramente compagni in un'epoca in cui i socialisti si chiamavano fra loro compagni, ma con una tonalità, un senso molto diverso dalla stessa parola usata dai comunisti.
Dopo essere stato sindaco di Milano dal 1976 al 1986, fu eletto al Parlamento europeo, ma come sindaco era stato il più giovane che la capitale lombarda avesse avuto e infatti per chi lo ha conosciuto a quell'epoca benché gli anni siano passati per tutti, e con quale orrore, riesce davvero difficile dare un volto invecchiato e malato a quel giovane studente, funzionario, consigliere, assessore, deputato, poi anche ministro perché Tognoli proseguì nella sua attività politica anche come ministro dell'Ambiente e delle Aree urbane nei governi Goria e De Mita e per il Turismo in due governi Andreotti.
Naturalmente fu anche lui devastato dalla retata mediatico-giudiziaria di Tangentopoli, come lo fu il suo successore Paolo Pillitteri, altro socialista craxiano, anche lui messo in graticola a suo tempo. Tognoli fu cacciato dalla politica con il rituale avviso di garanzia che ricevette nel 1992, insieme a Pillitteri. Fu allora preso sotto l'ala protettiva di Enrico Cuccia e di Mediobanca, cosa che Tognoli non dimenticò mai perché quel sostegno e quel rifugio gli permisero di superare una crisi feroce in tempi feroci che stroncarono molte vite.
La sinistra manettara che lo aveva attaccato come craxiano, poi si rappacificò con lui e anzi nel 2012 si parlò di lui come di un possibile candidato sindaco di Milano, stavolta nelle file dell'Ulivo. Poi la candidatura non andò avanti e Tognoli seguitò a svolgere ruoli molto istituzionali, anche se di prestigio come presidente del Museo della Scienza e della Tecnologia e poi presidente della «Fondazione Ospedale Maggiore» di Milano, stavolta nominato dal presidente Formigoni. Carlo Tognoli se ne va chiudendo definitivamente un'epoca di cui ormai si è persa la memoria sia perché i tempi sono cambiati, sia perché è cambiato il genere umano della politica.
Il sindaco Giuseppe Sala ha detto che con lui se ne va «un milanese vero, per me un maestro e un amico sincero» e ieri l'intera città di Milano, stretta nella morsa della pandemia ha appreso con addolorata distrazione che il suo antico «sindaco giovane» era morto di Covid, a casa dopo essersi contagiato in corsia, visto che malgrado i suoi 82 anni non era stato vaccinato.
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