Se Atene piange, Sparta non ride. Sta accadendo nelle due «cittadelle» francesi: il campo presidenziale e quello della gauche. Arroccate. In corsa contro il tempo per dare risposte a un Paese in cerca di stabilità. Da mostrare quanto prima ai francesi, e ai mercati entro fine estate. Il responso delle urne ha messo il fronte popolare della sinistra in testa per eletti. Rivendicano Matignon, la guida del governo. E ieri è apparso un nuovo nome per quella casella sorvegliata anche dall'Ue: è la comunista Huguette Bello, 73enne con un passato da mélenchoniana. «C'è urgenza di trovare una soluzione», ha detto il leader del Pcf Fabien Roussel, che l'ha proposta alle anime del «fronte»: i socialisti (che in campo hanno il loro segretario Faure), i verdi (aperti ma tengono in serbo alcune carte da tirare fuori al momento opportuno) e la France Insoumise di Mélenchon.
Dal cilindro, Roussel ha estratto una politica d'esperienza, meticcia, «comunista al 100 per cento». Donna delle istituzioni e maschera ben confezionata per celare la militanza d'estrema gauche. Oggi presiede la regione d'oltremare della Réunion. Maestra in pensione, è stata deputata dal 1997 al 2020 prima di diventare sostenitrice accanita di Mélenchon e candidarsi con lui alle europee. Vicinanza che potrebbe «bruciarla».
Macron ha messo infatti dei caveat sulle «estreme», e ieri pure il Rn ha annunciato la «censura» parlamentare in caso di premier d'estrema sinistra, come pure molti neogollisti. È però un ibrido, Bello: prima 23 anni in Parlamento, tra i fondatori del gruppo parlamentare della Sinistra democratica e repubblicana (Gdr), ha sostenuto il socialista Hollande nel 2012, poi nel 2017 e nel 2022 folgorata dal carisma di Mélenchon.
Per Roussel, «il campo presidenziale sta costruendo una maggioranza con la destra per rubarci la vittoria, serve una personalità che ci unisca tutti velocemente». Ricorda che Bello ha lottato contro precarietà e povertà, fu la prima a celebrare da sindaca un matrimonio gay a norma di legge nel 2013. Ma c'è chi l'accusa di non aver votato il mariage pour tous. «Capace di parlare a tutti, anche a deputati non membri del fronte - assicura Roussel - Ho fiducia che il Ps accetti». È ancora ai raggi X.
La Francia oggi è come una galassia primordiale dove tutto deve aggregarsi quasi da zero. «L'immagine che abbiamo dato in questi ultimi giorni è disastrosa», ha detto ieri Macron ai suoi. Divorzio quasi avvenuto dal premier Attal dopo un incontro tesissimo. Il presidente insisteva: governo per un anno, più di destra che di sinistra. Furibondo, avrebbe detto ad Attal di «pensare alla Nazione più che ad ambizioni personali premature», chiedendo «un'ultima prova di lealtà al progetto», il suo centro pigliatutto, anche a costo di concedere qualcosa agli avversari. Ma martedì, dopo il consiglio dei ministri, potrebbe dover accettare le dimissioni di Attal, che non ci sta più a farsi dare ordini dopo aver salvato il risultato. Ieri si è candidato alla presidenza del gruppo parlamentare Renaissance.
All'Eliseo era col ministro Darmanin (l'anima destra in Macronie) e l'ex premier Borne (più vicina ai socialisti), oltre all'ex capogruppo Bergé, critica verso l'Eliseo dopo l'indicazione di far barriera a tutti i costi ai lepenisti. Vogliono contare come mai negli ultimi 7 anni. Erano considerati poco più che collaboratori, ora sono competitor.
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