Sorrisi e intesa Zelensky-Meloni. I distinguo sul Cav "macchiano" la missione chiave

È lei stessa a definirlo "uno dei bilaterali più importanti da quando sono al governo"

Sorrisi e intesa Zelensky-Meloni. I distinguo sul Cav "macchiano" la missione chiave

È lei stessa a definirlo «uno dei bilaterali più importanti da quando sono al governo». Perché, spiega nel salone d'onore del palazzo presidenziale di Volodymyr Zelensky durante la conferenza stampa congiunta, «su questa vicenda l'Italia non intende tentennare». Giorgia Meloni, d'altra parte, non l'ha mai fatto. Neanche prima di sedere a Palazzo Chigi. E ha sempre rivendicato il suo totale sostegno alle ragioni di Kiev. «Non solo perché è impossibile e stupido girarsi dall'altra parte o perché parliamo di un popolo evidentemente vittima di un'aggressione, ma anche perché i nostri interessi coincidono con quelli ucraini», spiega rivolgendosi con un sorriso a Zelensky. Che ricambia, con la cortesia di chi ha evidentemente trovato una buona sintonia con la premier italiana durante il loro primo faccia a faccia in solitaria. Il leader ucraino, però, va oltre. E, quando gli viene chiesto conto delle parole di Silvio Berlusconi sul conflitto, sceglie di non muoversi con la stessa prudenza di Meloni.

Se infatti la premier ribadisce che «nei fatti», cioè nei voti in Consiglio dei ministri o in Parlamento, la maggioranza ha sempre «sostenuto senza esitazioni le ragioni dell'Ucraina», Zelensky non esita a impugnare l'accetta e attaccare frontalmente Berlusconi. «La sua casa - dice a favore di telecamere - non è mai stata bombardata e mai sono arrivati con i carri armati nel suo giardino, così come nessuno ha mai ammazzato i suoi parenti o non ha dovuto fare la valigia alle 3 di notte per scappare... e tutto grazie all'amore fraterno della Russia».

L'affondo di Zelensky resta quasi appeso nell'aria tanto è netto. Al punto che il giornalista ucraino che pone la domanda successiva torna sulla questione delle diverse posizioni su Mosca all'interno della maggioranza Meloni. Quasi a cercare una conferma del frontale che si è appena consumato. Che, evidentemente, è destinato a portarsi dietro strascichi quando, già oggi, la premier rientrerà in Italia. E che, nei fatti, «sporca» non poco una visita a cui tanto la premier teneva, più volte annunciata e alla fine arrivata in tempo prima dell'anniversario dell'invasione (di venerdì). Ma di cui, almeno nella percezione del grande pubblico, resterà soprattutto l'altolà di Zelensky a Berlusconi, con l'evidente messaggio implicito che il leader ucraino considera le rassicurazioni della premier affidabili sì, ma fino a un certo punto. Altrimenti si sarebbe ben guardato da una presa di posizione che evidenzia - e non poco - i distinguo che Meloni si porta dietro, contribuendo - i prossimi giorni diranno se la previsione è esatta - ancora di più ad agitare le acque nella maggioranza. Cosa succederebbe se a stretto giro Berlusconi decidesse di tornare a manifestare le sue perplessità? O se facesse notare che a Kiev la premier non ha preso le sue parti?

D'altra parte, che il tema fosse scivoloso a Palazzo Chigi lo avevano ben chiaro, tanto che nell'incontro con la stampa è stato oggetto di ben due domande su quattro. Una dei giornalisti italiani, l'altra degli ucraini. E chissà se la leader di Fdi immaginava una simile piega quando proprio lei - causa unblack out era saltata la simultanea - aveva tradotto una domanda per Zelensky autodefinendosi scherzando un «presidente operaio». Un clima di cordialità che andrà a sbattere di lì a poco sull'altolà di Zelensky. Che magari ragiona su categorie diverse dalle nostre, alle prese com'è da un anno con una guerra sanguinosa, ma che evidentemente ha nei fatti aperto una crepa nella maggioranza che sostiene Meloni sulla politica estera.

Magari ben oltre le sue intenzioni, visto che la premier ha ribadito tutto il giorno la disponibilità italiana non solo a un prossimo invio di armi, ma pure a una conferenza internazionale sulla ricostruzione che Meloni vorrebbe si tenesse ad

aprile in Italia. Con la mano tesa all'Ucraina in vista dell'Expo 2030 cui sono candidate sia Roma sia Odessa. «Lavorare insieme su questa scadenza - dice - sarebbe un bel segnale su come crediamo andranno le cose domani».

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