Norme e opportunità. Il 9 ottobre scorso, il giorno dopo il verdetto del collegio da lui presieduto, il plenum del Csm ha acceso il semaforo rosso. No all'archiviazione della pratica per incompatibilità ambientale che, come spesso capita, viaggiava verso qualche polverosa soffitta. Roberto Spanó, il giudice che ha condannato Fabio De Pasquale e prima ancora Piercamillo Davigo, resta in bilico. E potrebbe essere mandato via da Brescia per incompatibilità ambientale.
Si perché lui è presidente di sezione penale del tribunale e la moglie Roberta Panico è pm nella procura della stessa città. Un mix certo non ortodosso, perché le inchieste della pm potrebbero arrivare al vaglio del consorte, ma qui contano si le regole, ma ancora di più i tempi. E i tempi in cui il Csm ha attivato i riflettori e soprattutto ha deciso di tenerli puntati sulla toga bresciana sono fatalmente sospetti.
Si innescano retropensieri, magari ingiusti ma fin troppo facili, su quel che avviene dietro le quinte della giustizia. Dopo quella doccia fredda al plenum, è lei, Roberta Panico, a bussare a Roma e a perorare le proprie ragioni e perplessità con una memoria: «Rimarco che nel corso dei 17 anni di convivenza all'interno dell'ufficio di procura e dello stesso palazzo di giustizia non si sono mai prodotte situazioni di criticità con i colleghi e l'utenza, cioè con chi, almeno astrattamente, avrebbe avuto interesse a segnalare i possibili profili di incompatibilità».
Diciassette anni. Diciassette anni in cui tutto è filato liscio, poi quando Spanó è diventato il fustigatore delle icone della magistratura di rito ambrosiano, qualcosa è cambiato. Coincidenze?
A Palazzo dei Marescialli invitano a non innamorarsi di facili ma fuorvianti suggestioni: c'era in ballo la riconferma di un incarico direttivo, appunto la presidenza di sezione del tribunale, e la ruota si è messa a girare.
In verità, la stessa pratica sulla presunta incompatibilità era già stata aperta e chiusa nel 2017. Insomma, il problema si era posto ma era stato ritenuto non rilevante e superato, oggi invece il plenum vuole passare alla moviola una storia già esaminata e che va avanti da diciassette anni e rimanda la palla alla I Commissione in vista di nuovi accertamenti e approfondimenti.
Per carità, le situazioni possono cambiare, ma così si mette nel mirino un magistrato che si trova al crocevia di incroci delicatissimi e di grandi tensioni. Le condanne di questi mesi - quella di Davigo ormai definitiva - sarebbero state inimmaginabili nella stagione incandescente di Mani pulite, quando il Pool era osannato come una divinità da pezzi importanti dell'opinione pubblica. Poi le cose, e lo registriamo senza alcun compiacimento, sono cambiate e la realtà ha presentato un conto fatto di miserie avvilenti. Un turbine di verbali portati in giro come madonne pellegrine, per Davigo, e di prove non consegnate in aula, per De Pasquale, che però deve ancora arrivare alla stazione di appello.
Ma sul piano disciplinare, o comunque deontologico, qualcosa stride. De Pasquale resta al suo posto di pm, anche se degradato dal ruolo di procuratore aggiunto, e il processo disciplinare langue. È in stand by e dovrebbe riprendere solo dopo la chiusura del procedimento penale. Quando arriverà. Si aspetta, anche se in altre situazioni, vedi Luca Palamara, il verdetto del Csm è giunto di corsa, tagliando la strada a quello penale. Un doppio standard che lascia perplessi, senza voler abdicare alla civiltà del garantismo.
Spanò invece dovrà attendere le nuove verifiche. La pratica potrebbe finire nel nulla, ma anche no e potrebbe scattare l'esilio da Brescia.
Fatto sta che a quasi due anni dall'apertura della pratica, il 7 marzo 2023, e dopo diverse audizioni, il girotondo è ancora in
corso. E Panico, chiedendo di essere ascoltata dalla I Commissione, osserva: «La questione della possibile incompatibilità è stata in più occasioni valutata e ritenuta insussistente».Non lo era prima, ma forse lo è oggi.
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