Perché l'agenda sugli immigrati di Soumahoro non sta in piedi

Welfare, pensioni, diritti: Aboubakar Soumahoro a testa bassa sulla tutela degli immigrati. Che però è già codificata nella legge

Perché l'agenda sugli immigrati di Soumahoro non sta in piedi

La via per integrare al meglio gli immigrati nel sistema economico italiano? Il neo-deputato Aboubakar Soumahoro non ha dubbi: la strada passa per tre mosse. In primo luogo, l'equiparazione dei salari dei lavoratori immigrati a quelli dei cittadini italiani; in secondo luogo, l'abolizione della Legge Bossi-Fini sull'immigrazione clandestina; in terzo luogo, la concessione immediata della cittadinanza a 1,4 milioni di stranieri che vivono sul suolo italiano. Un'agenda che però, a conti fatti, non sta proprio in piedi. Ecco perché.

L'affondo di Soumahoro

L'ex sindacalista eletto alla Camera con la lista Europa Verde-Sinistra Italiana parla in un'intervista a Repubblica ed enuncia la sua strategia. E perora "l'abolizione della Bossi-Fini che genera illegalità, ricatto lavorativo e sociale. E lo dico da vittima: è impossibile per chi la subisce rivendicare diritti e chi alza la testa perde il contratto e il permesso di soggiorno". Aggiungendo poi che "non possiamo far venire i lavoratori in Italia e poi trattarli come schiavi".

Soumahoro in passato ha combattuto con grande dignità apprezzabili battaglie contro il caporalato e lo sfruttamento degli invisibili in tutto il territorio nazionale, soprattutto al Sud Italia. Ma la sua proposta politica sembra partire dall'ideologia e non dai fatti concreti.

Nessuna legge penalizza

Partiamo dal presupposto e dal primo punto: nessuna legge italiana permette di distinguere sul fronte dello stipendio di un lavoratore in base alla nazionalità. Questo sarebbe un palese vulnus a qualsiasi ordinario principio costituzionale. Soumahoro cita i dati del Ministero del Lavoro e dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro e ricorda che "a parità di lavoro c'è disparità salariale" tra straniere e italiani, e la questone è vera.

Ma non è corretto dire, come aggiunge, che "le norme sono razializzanti". Il vero razzismo nel lavoro sta infatti nella disapplicazione delle norme. In larga parte, il fatto che lo stipendio di un lavoratore straniero di fatto sia inferiore del 30% alla media di un corrispettivo italiano, e questo non considera le centinaia di migliaia di immigrati di seconda generazione ben integrati negli studi e nei mestieri, è legato alla piaga del caporalato e dello sfruttamento dell'immigrazione clandestina. Dunque a una violazione delle norme, non alle norme in sé.

La forza della legge

Anzi: la la Legge Bossi-Fini, ancora vigente, prescrive come condizione per arrivare in modo regolare, di essere in possesso di un contratto di lavoro: questo è un presupposto che ricorda come lo sfruttamento del lavoro nero e del caporalato avvengano in violazione, non certamente in applicazione, di norme razializzanti. Già nel 2018 Raffaele Vicidomini, Segretario del sindacato ravennate della Flai-Cgil, dichiarava alla rivista di settore Il Lavoro nella Giurisprudenza che "è ormai accertato come non siano rari i lavoratori, soprattutto stranieri, che vengono intercettati nei loro paesi di origine e arrivano in Italia per essere sfruttati da un “caporale”, il trait d’union che li trasporta e li affida a chi li sfrutta in turni massacranti di lavoro senza il riconoscimento di tutto ciò che differenzia un lavoro subordinato dignitoso da una condizione di nuovo schiavismo".

A loro insaputa, dunque, spesso i migranti pagano i trafficanti di esseri umani per essere trascinati in un sistema di cui non conoscono norme, diritti e tutele. Spesso sovrapponibili a quelle di un regolare contratto subordinato con aziende, cooperative o enti pubblici. Il caporalato e le altre piaghe che - coraggiosamente - Soumahoro ha a lungo combattuto nascono in opposizione a questo quadro normativo costruito dal centro-destra ma mai rinnegato nemmeno dal centro-sinistra di potere. Tanto da fungere nel 2016 come base d'appoggio per la fondamentale Legge 199/2016 che ha istituito la base per la lotta al caporalato e, come ricordato da Vicidomini, capace di istituire "nuovi strumenti penali per la lotta al caporalato come la confisca dei beni (alla stregua delle organizzazioni mafiose), misure cautelari alternative come il controllo giudiziario dell’azienda, l’arresto obbligatorio in flagranza, l’applicazione di un’attenuante in caso di collaborazione con le autorità e l’estensione alle persone giuridiche della responsabilità per il reato". Nel 2021 una figura non sicuramente sospettabile di simpatie di destra come l'ex Ministro dell'Interno Luciana Lamorgese ha nominato a capo della consulta del Viminale preposta a guardare all'applicazione di tale campagna il suo predecessore leghista Roberto Maroni, e il centro-destra ha sempre applicato nelle regioni governate in cui più diffusa è questa piaga, come Sicilia e Calabria, i tavoli regionali di discussione.

L’European House Ambrosetti stima in almeno 80 i distretti agricoli gestiti da “caporali” con oltre 400 mila operai coinvolti (l’80% stranieri), pagati 25 – 30 euro al giorno per 12 ore di lavoro. Ma sono ben 400 i processi già in corso in virtù di queste leggi che servono proprio a realizzare ciò che Soumahoro auspica e per cui si è sempre battuto: il riconoscimento degli invisibili e il contrasto a uno sfruttamento che - è bene ricordarlo - spesso coincide con l'intervento della criminalità organizzata. Anche una testata apertamente schierata a Sinistra come Il Manifesto ha recentemente invitato alla piena applicazione delle norme in vigore che offrono piena capacità di tutela, invitando piuttosto le imprese a prendere in capo lo strumento della Rete del lavoro agricolo di qualità: "Istituita sin dal 2014 presso l’Inps, valorizza le aziende che impiegano manodopera con modalità trasparenti e conformi alle leggi sul lavoro sottraendole alla vigilanza ispettiva. Alla fine di gennaio 2021 però gli iscritti alla Rete erano appena 4506 su un potenziale di 120 mila aziende e oltre 200 mila coltivatori". Inoltre, in virtù del recente Dl Semplificazioni è già attive domanda di conversione del permesso di soggiorno in uno di lavoro e per l’ingresso di lavoratori formati all’estero. Per queste due categorie ci sono ancora quote disponibili tra quelle messe a disposizione tramite il Decreto Flussi 2022 (7mila posti per la conversione e 100 per lavoratori formati all’estero) e la proroga dal 30 settembre al 31 dicembre è stata disposta proprio per consentire l’utilizzo totale dei posti.

Il nodo cittadinanza

L'assenza di razzismo sistemico nelle leggi e la lezione che il Paese ha avuto nella lotta alla Mafia è il più grande esempio con cui Soumahoro dovrebbe, politicamente e in virtù della sua esperienza sul campo, relazionarsi. Non serve a nulla richiamare al tema del razzismo delle norme che, anzi, vanno nella direzione sperata. Piuttosto sarebbe auspicabile uno sforzo comune con il nuovo governo di Giorgia Meloni che ha dimostrato già in passato, con interrogazioni alla stessa Lamorgese sul tema del caporalato, di capire l'entità del problema.

Né si può comprendere cosa serva, in questa fase, la trasformazione in cittadini italiani di 1,4 milioni di stranieri: Soumahoro va oltre ius soli e ius scholae e sembra promettere un paletto ultra-ambizioso.

Va detto che il welfare universalistico italiano già oggi non differenzia affatto tra italiani e non, destinando a questi ultimi ingenti risorse. Come riporta La Voce, infatti, secondo dati Inps "la spesa pensionistica per i cittadini stranieri è di 2,2 miliardi (0,7 per cento). Vanno aggiunte le altre prestazioni non pensionistiche (disoccupazione, malattia, maternità, assegni nucleo familiare, reddito di cittadinanza), pari a 6,2 miliardi (23,2 per cento del totale). La spesa previdenziale riferita ai cittadini stranieri è quindi di 8,45 miliardi, pari al 2,6 per cento del totale". Un dato che non parla certamente di un welfare "razzista" per legge.

Una norma del genere come quella avrebbe, del resto, costi sproporzionati agli obiettivi di reale integrazione: quanto comporterebbe, ad esempio, in termini di equilibri di welfare nel breve periodo? Quanti di questi immigrati naturalizzati resterebbero a contribuire - come fatto da milioni di loro predecessori - allo sviluppo dell'economia, al mercato del lavoro, all'istruzione nazionale? In che misura sarebbe effettivamente migliorata la loro condizione materiale in seguito alla concessione dei diritti politici svincolati dalla piena e continua presenza nella continuità nazionale? Domande a cui è impossibile dare una risposta effettiva in partenza. E soprattutto, in caso di concessione immediata della cittadinanza, quante risorse perderebbero i migranti effettivamente? Come sottolinea Pagella Politica, i dati più recenti del Ministero dell’Interno prevedevano risorse per "quasi un miliardo e 938 milioni di euro per la missione “Immigrazione, accoglienza e garanzia dei diritti” (pari a circa il 7,5 per cento del bilancio del Viminale); nel bilancio del 2018 queste risorse erano state pari a oltre 3,2 miliardi" in virtù dell'emergenza migratoria dell'anno precedente. Un tratto di penna per la cittadinanza agli immigrati cancellerebbe quasi due miliardi di fondi destinati esclusviamente agli stranieri? Non è difficile crederlo. E così, paradossalmente, si ritorcerebbe contro gli stessi destinatari la proposta di Soumahoro.

Uomo che da sindacalista ha dato il meglio di sé parlando delle condizioni concrete e aiutando i braccianti e gli sfruttati a avere voce grazie alla legge, non contro di essa. E su questi temi, sull'implementazione e l'affermazione del diritto, non sulla sua demonizzazione, può costruire una fruttuosa carriera politica.

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