Usato per intercettare capi di Stato come il presidente francese Emmanuel Macron, ex capi di governo come Romano Prodi, giornalisti, oppositori politici e ora si scopre anche figlie e mogli in fuga dal regime autoritario degli Emirati Arabi Uniti e perfino l'entourage del pacifico ma scomodo Dalai Lama. Il software-spia Pegasus, prodotto dall'azienda israeliana Nso Group, allarma le cancellerie internazionali, ancor più dopo le ultime rivelazioni delle 17 testate internazionali che si sono occupate dell'inchiesta e hanno sfoderato nelle scorse ore nuovi nomi eccellenti finiti nella lista delle circa 50 mila utenze depredate di foto, audio e informazioni personali.
Ci sono anche la martoriata principessa Latifa, figlia del sovrano di Dubai, lo sceicco Mohammed bin Rashid al Maktoum, e l'ex moglie del monarca, Haya Al-Hussein, tra le vittime dello spionaggio selvaggio denunciato dall'indagine svolta sotto il coordinamento dell'organizzazione francese «Forbidden Stories», con l'assistenza tecnica di Amnesty International, entrambe citate in giudizio dal Marocco accusato di aver preso di mira Macron e finoto sotto accusa insieme ad Arabia Saudita, Marocco, Ungheria, Messico, India e così via. Come centinaia di altre storie in questa vicenda, la notizia prova che introdursi nei telefoni cellulari sia stato il passatempo preferito - reso agevole da Pegagus - di Paesi e autorità che disprezzano i diritti umani.
La storia di Latifa, d'altra parte, è una storia di orrore, violenza e repressione di un padre-padrone incapace non solo di elargire le più basilari libertà individuali ai suoi sudditi negli Emirati Arabi Uniti, ma avverso anche a concedere qualche ora d'aria e la minima autonomia alla propria figlia. Proprio Pegasus sembra essere andato incontro al monarca assoluto quando Latifa tentò una fuga disperata dal Paese arabo nel febbraio 2018. La giovane allora aveva 32 anni, si era nascosta nel bagagliaio di un'auto, aveva attraversato la frontiera con l'Oman ed era salita su un gommone, poi aveva raggiunto uno yacht che l'avrebbe dovuta portare in Sri Lanka, prima di arrivare nella meta ambita, gli Stati Uniti. Unico obiettivo: sfuggire alle grinfie del padre, re degli Emirati, che la teneva segregata. Nonostante Latifa avesse lasciato il suo telefono nel bagno di un ristorante di Dubai, ora si scopre che il suo numero finì sotto il controllo di Pegasus qualche ora dopo, rivelando le conversazioni avute con un'amica e altre persone fidate. Latifa fu portata via mentre lo yacht si avvicinava alle coste di Goa, India. Da allora la giovane non è più riuscita a liberarsi dal giogo del padre-sovrano. Ormai celebre un video girato di nascosto nel bagno di casa, e diffuso a gennaio dalla Bbc, in cui racconta: «Sono tenuta rinchiusa in una villa trasformata in prigione. Ci sono sbarre a tutte le finestre e non posso aprirle. Le guardie minacciano che potrei non rivedere il sole». Viva ma segregata. Grazie a Pegasus. Usato per mettere sotto controllo anche la sesta moglie dell'emiro di Dubai, figlia del re Hussein di Giordania, Haya Al-Hussein, ora fuggita in Gran Bretagna.
Come se non bastasse, ora si scopre che anche la stretta cerchia di collaboratori del Dalai Lama è stata spiata. Sarebbe stato il governo indiano a puntare la squadra della guida spirituale del buddhismo tibetano ed ex capo del governo in esilio dopo la rottura con la Cina.
Ecco perché ieri, mentre Macron convocava un Consiglio di Difesa eccezionale, alcuni media francesi riferivano del suo cambio di smartphone e numero di telefono, la Francia annunciava un'inchiesta e la cancelliera tedesca
Angela Merkel si premurava a esortare: è «importante» che questo genere di software «non finisca nelle mani sbagliate», che «non sia venduto a quei Paesi dove la legge non può proteggere» dalle intercettazioni delle autorità.
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