All'inizio era soltanto l'ultimo Carneade prestato alla politica. L'«avvocato di Radio Radio» era l'etichetta più usata. Enrico Michetti e i suoi sponsor politici hanno faticato all'inizio della campagna elettorale a mostrare quali erano le competenze dell'amministrativista e quali le visioni e i programmi per far rinascere la città dopo un quinquennio di grillismo militante.
Michetti ha accettato la sfida propostagli dalla leader di Fratelli d'Italia con slancio. È sicuramente autentico il suo amore per la città e altrettanto autentico l'orgoglio di volerla ricondurre a un ruolo di capitale che ha da tempo perso. Il fine amministrativista, ripetono i suoi sostenitori, conosce bene i meccanismi che regolano la vita della gigantesca macchina burocratica. E sa, dicono, dove intervenire per rendere più efficiente l'amministrazione capitolina e per restituire decoro e grandezza alla Città Eterna. Si è accorto, però, troppo tardi che nell'agone politico non si risparmiano colpi bassi. E quindi tutte le sue esternazioni, anche le più passionali, sono diventate efficaci armi nelle mani dei suoi avversari. A iniziare dal suo amore per l'antica Roma. Fino ai maldestri scivoloni sul valore igienico - in tempo di Covid - di un saluto romano, come anche sull'efficienza della Wermacht. Per non dire di altre gaffe diventate tali soltanto dopo un attento esame di tutti i suoi discorsi e interventi radiofonici degli anni passati, quando ancora non era certo emersa la possibilità di fare di lui il candidato del centrodestra per la guida della città (votato dal 30,7% di elettori al primo turno).
A via della Scrofa non sono pentiti della scelta. Michetti resta, dicono, un candidato forte e valido. Un «campione» della società civile con ambizioni da civil servant. E si chiedono semmai se gli attacchi ad alzo zero, questo volerlo trasformare in macchietta nostalgica chiedendogli patente di antifascismo, non siano un modo per isolare la Meloni che sulla sua candidatura ci ha messo la faccia. La stessa leader di Fratelli d'Italia ha ricordato le tante critiche piovute sul suo partito per presunte connivenze o vicinanze con un mondo (quello delle formazioni di estrema destra che da tempo hanno l'ambizione di soffiare sul fuoco dei no vax e dei no green pass). In quest'ottica anche la schiettezza fuori dagli schemi di un Michetti risulta utile, fa capire la Meloni, per isolare il candidato del centrodestra e il principale partito che lo appoggia.
Nel frattempo Roberto Gualtieri, il suo avversario, si è fatto vedere tra la folla di piazza San Giovanni. Dove gli iscritti ai sindacati protestavano contro la violenza politica (di matrice fascista). «Bisogna rispettare il silenzio, se c'è una regola va rispettata - aveva detto Michetti a chi gli chiedeva se avrebbe partecipato alla manifestazione indetta dalla Cgil -. Io rispetterò le leggi. Parlare di fascismo o comunismo? La condanna dovrebbe essere nei confronti di tutti i totalitarismi». Ma ovviamente questo non basta spunta tempestivo un «sonoro» di cinque anni fa a commento dei primi soccorsi a Rigopiano dove una valanga aveva ucciso 29 persone.
«Ho visto pure della gente di colore che stava lì a dare una mano - si sente -. Per carità è lodevole. Ma lì ci debbono essere persone che sanno il fatto loro». Un modo, forse, per chiedergli anche la patente di antirazzista.
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