Prosegue lo stallo tra Atlantia e Cdp per definire le modalità di ingresso del gruppo di Via Goito nel capitale di Autostrade per l'Italia. Al momento, la sensazione è che la trattativa non si sbloccherà nel breve termine nonostante i contatti tra le due società e i rispettivi legali proseguano quotidianamente. Non è solo questione di finanza, ma anche di pedaggi autostradali: se l'esecutivo proseguisse sulla strada populista dell'abbassamento delle tariffe, finirebbe con il tirare un bidone proprio alla Cassa.
Ma andiamo con ordine. Le ragioni delle parti in causa sono entrambe fondate. Anche se la vicenda si origina dal disastro del Ponte Morandi, la holding che fa capo a Edizione (30,25%) della famiglia Benetton, in quanto azienda quotata, non può accettare modalità di avvicendamento che suonino come un esproprio dinanzi alla compagine di investitori internazionali (il fondo Tci ha già adito la Corte di Giustizia Ue) né può accettare una valutazione di Aspi che penalizzi l'ensemble dei soci visto che il mercato valuta la concessionaria fino a 9 miliardi di euro. Di qui la proposta di vendere l'88% di Aspi detenuto da Atlantia con contestuale scissione parziale, finalizzata alla quotazione per soddisfare le esigenze di tutti gli attori coinvolti. Incluse le minoranze di Aspi (Allianz con il 7% e Silk Road Fund al 5%).
Dall'altra parte, l'istituto guidato dall'ad Fabrizio Palermo non può certo «bruciare» le proprie risorse essendo, a sua volta, «obbligato» dallo statuto a essere remunerativo per i propri soci che, oltre al Tesoro, comprendono anche le Fondazioni bancarie. Il rischio, infatti, è duplice. Una valutazione troppo elevata di Aspi renderebbe più costosa l'operazione originaria di ingresso da realizzarsi con un aumento di capitale riservato con il quale acquisirebbe il 33% della società (con un ulteriore 22% girato a investitori graditi a Cdp). La Cassa, inoltre, vuole precise garanzie (manleve) sulle cause pendenti nei confronti di Aspi per non dover sopportare ulteriori costi. Terzo ma non meno importante: l'investimento deve essere remunerativo e, per questo motivo, le interlocuzioni tra Autostrade e il ministero delle Infrastrutture sulla revisione della convenzione e delle tariffe da applicare ai 3mila chilometri di rete autostradale deve sì garantire la manutenzione del network, ma anche prevedere una remunerazione adeguata. In caso contrario, la Cassa si troverebbe a subire un doppio danno: una spesa elevata e un ritorno sul capitale investito risibile. In pratica, una perdita certa.
«Atlantia e Aspi devono rispettare gli impegni», si è limitata a dire il ministro delle Infrastrutture, Paola De Micheli, ora impegnata a presentare il progetto del tunnel sullo Stretto «in sede di Recovery Fund per completare il collegamento tra Messina e Reggio Calabria».
De Micheli ha garantito che nel 2020 non ci saranno aumenti dei pedaggi. Non è però esclusa la possibilità di rincari. E in Via Goito c'è la ragionevole speranza che il governo non voglia pregiudicarne gli equilibri finanziari. In famiglia non si tirano bidoni.
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