In stallo i negoziati su tregua e rapiti: torna il capo della Cia, Tajani a Beirut

Falliti i tentativi di sospendere il conflitto. Israele contesta Qatar ed Egitto. Il ministro degli Esteri pronto a fare pressioni su Hezbollah

In stallo i negoziati su tregua e rapiti: torna il capo della Cia, Tajani a Beirut
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In Israele l'han capito anche i più convinti sostenitori di Bibi Netanyahu. La promessa di liberare gli ostaggi, cancellare Hamas da Gaza ed eliminarne i capi è un'irraggiungibile chimera utile soltanto per rinviare le dimissioni del premier e i suoi processi. Eppure la soluzione negoziale non sembra avvicinarsi.

Respinta la proposta israeliana di un cessate il fuoco di due mesi e di nuovi scambi di prigionieri, Hamas ha addirittura rilanciato pretendendo la fine delle ostilità e il ritiro di Tsahal dalla Striscia. In questo difficile contesto si è svolto l'incontro tra il nostro ministro degli esteri Antonio Tajani e il suo omologo Israel Katz. Un incontro nel quale Tajani ha offerto mediazione sul fronte del Libano e chiesto la collaborazione israeliana per l'apertura di un ospedale da campo a Gaza.

Intanto, però, Bibi e i ministri più oltranzisti, continuano ad attaccare Qatar ed Egitto, due nazioni arabe essenziali per chiudere il negoziato con Hamas riportando a casa i 110 ostaggi ancora in vita e i resti dei 25 morti in prigionia. Il primo a scagliarsi contro il Qatar è il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich accusandolo di «sostenere e finanziare il terrorismo». Accuse sicuramente inopportune considerando il ruolo dell'Emirato, ma non infondate vista l'ospitalità garantita da Doha ai capi di Hamas e i miliardi versati nelle sue casse. Alle accuse di Smotrich si sono aggiunte le uscite di un premier che rivolgendosi ai familiari degli ostaggi ha liquidato la mediazione dell'emirato come «problematica».

Le cose non vanno meglio con l'Egitto mediatore essenziale per garantire a Israele il controllo del lato meridionale della Striscia ed evitare che i capi di Hamas si dileguino attraverso i tunnel collegati al deserto del Sinai. Dopo i raid israeliani in quella delicata zona di confine e le restrizioni al passaggio di aiuti il presidente egiziano Abdel Fattah Al-Sisi ha rifiutato una chiamata di Netanyahu e ridimensionato il livello delle relazioni.

Resta in campo invece il Qatar appoggiato dall'amministrazione Biden e dal capo della Cia William Burns che non a caso si prepara a tornare in Europa nei prossimi giorni per incontrare i capi dell'intelligence egiziana e israeliana e il premier qatariota Mohammed Al Thani. Con quest'ultimo e il capo del Mossad David Barnea il numero uno della Cia aveva già discusso a dicembre un piano negoziale che prevede l'uscita da Gaza dei capi di Hamas e il loro esilio in Algeria. Il problema è il costo dell'accordo. Per restituire gli ostaggi Hamas pretende - oltre al ritiro da Gaza e la fine delle ostilità - anche la liberazione degli oltre 6mila prigionieri palestinesi detenuti da Israele prima del 7 ottobre e di quelli catturati successivamente.

Pretese che se accettate equivarrebbero a una disfatta per Israele mentre regalerebbero ad Hamas il plauso di gran parte dei palestinesi e di molte opinioni pubbliche arabe ed islamiche.

Un epilogo inaccettabile per Israele costretto - se vuole recuperare credibilità e capacità di deterrenza - a conquistare la Striscia per poi avviare un negoziato internazionale sul futuro di Gaza e dei palestinesi. Un obiettivo per cui rischia di dover sacrificare gli ultimi 110 ostaggi ancora in vita.

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