Uno Stato (pieno di sé) che non salda i debiti

Poche parole del presidente del consiglio Giuseppe Conte, ieri su La Stampa, danno il tono della politica economica che ha in mente.

Uno Stato (pieno di sé) che non salda i debiti

Poche parole del presidente del consiglio Giuseppe Conte, ieri su La Stampa, danno il tono della politica economica che ha in mente. Straordinariamente in linea con l'impostazione di una certa sinistra che, ironia della sorte, il segretario del Pd, Matteo Renzi, oggi stampella del governo, voleva rottamare. E che oggi è più forte che mai.

Leggiamole. «La partecipazione dello Stato in Autostrade ... contribuirà ad assicurare più controlli e sicurezza sulla nostra rete». E, aggiunge, non richiesto: «Servirà inoltre a dare più efficienza e tariffe più eque». Riteniamo che il premier creda davvero a ciò che dice, e che non si tratti di sola propaganda. E ciò è preoccupante. Altrimenti avrebbe potuto semplicemente dire: «Dopo la tragedia del ponte Morandi, non ci fidiamo più del concessionario privato, siamo stati costretti a riprenderci in mano ciò che già ci apparteneva e cioè la rete autostradale, nelle ricerca di qualcuno che la gestisca meglio. Nel frattempo ci dobbiamo pensare noi».

Conte non ha detto così. Ritiene che «ontologicamente» lo stato possa fare meglio del privato. Non è affatto scandalizzato che la proprietà della rete (una società in qualche modo controllata dal Tesoro) e il controllo della stessa (fatta nelle questioni economiche dal medesimo Tesoro e nei controlli da altri ministeri) coincidano con lo stesso soggetto: il governo e le sue agenzie. Terzo, ma non ultimo elemento, il premier implicitamente ritiene che un eventuale fallimento dello Stato sia da preferire ad un fallimento del mercato. Se a cadere, in pieno lockdown, è un ponte della pubblica Anas il fallimento è identico (dal punto di vista ingegneristico e di mancanza di manutenzione e controlli) a quello del ponte Morandi; ma nel primo caso il segnale di allarme (nessun morto grazie ai nostri arresti domiciliari) viene sottovalutato rispetto a quanto sarebbe avvenuto se a cedere fosse stata una struttura privata.

Vedete, il pregiudizio si applica a tutti campi. L'incidente che provocò alcuni morti tra gli escursionisti di un parco naturalistico pubblico in Calabria, alcuni mesi fa, ha destato molta meno indignazione pubblica di un incidente su una ruota di un parco giochi privato.

Il mancato pagamento di una fattura da parte della pubblica amministrazione (ieri la Cgia ha ribadito che nonostante siano pieni di liquidità le Asl non pagano arretrati per undici miliardi) è considerato meno riprovevole rispetto ad un ritardo dei pagamenti di una multinazionale o di un imprenditore privato verso i propri dipendenti.

Viviamo in una sciocca e soprattutto irrealistica bolla in cui riteniamo (quanto c'è di servile in questo nostro atteggiamento) l'inadempienza pubblica comunque meno grave di quella privata. Evidentemente dovrebbe essere il contrario. Il mancato controllo, il mancato pagamento da parte della pubblica amministrazione è un doppio tradimento. Il primo riguarda il fatto in sè, il secondo la delega che abbiamo dato come elettori cittadini e come elettori contribuenti all'apparato statale per fare i nostri interessi.

Riguardo al ponte Morandi dovremmo comprensibilmente essere furibondi con il concessionario, il cui compito sarebbe dovuto essere fornire il servizio in sicurezza. Ma ancora di più con chi lo avrebbe dovuto controllare. Siamo come dei bambini sciocchi, procediamo per reazioni scontate. Ma possibile che nessuno rifletta sul fatto che il medesimo ministero che avrebbe dovuto vigilare sul Ponte, e non lo ha fatto, esattamente l'anno dopo chiude la viabilità nelle autostrade limitrofe al ponte. Ma come, improvvisamente sono diventate insicure? O improvvisamente sentiamo l'esigenza di controllarle? O improvvisamente abbiamo voluto dare un segnale? Ma neanche all'asilo, si hanno riflessi così elementari. Eppure la reazione, per quanto puerile, è accettata e accettabile perché a metterla in atto è il sovrano statuale.

Tutto ciò è possibile grazie al pregiudizio pubblico, all'ideologia di cui è imbevuto un amministrativista come Conte (non sono tutti come lui, per carità, basti pensare a Cassese, solo per fare il nome di un uomo non certi allievo di Milton Friedman, ma coraggioso e rispettoso della separazione dei ruoli e dei compiti) e che prevede una sorta di sovraordinazione, se ci passate il termine, dell'interesse pubblico su quello privato e sottovalutazione conseguente della responsabilità pubblica rispetto a quella privata. In fondo niente di nuovo sotto al sole: è la grande differenza del secolo scorso tra socialisti e liberali. Un conflitto in parte cristallizzato anche nella nostra costituzione. Ahinoi. Un grande individualista dell'ottocento, Ralph Waldo Emerson (leggetelo) scriveva: «Il segreto del genio è di non tollerare attorno a sè l'esistenza di alcuna finzione».

La più grande di tutte, aggiungiamo noi, è fingere che lo Stato possa controllare se stesso meglio di quanto (non) ha controllato un privato. Oggi non abbiamo Emerson, ma Casalino, che di una grande finzione è il sublime regista.

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