Oggi il modo migliore per risolvere il problema dello smaltimento dei rifiuti, sia urbani che speciali, è quello di utilizzare i termovalorizzatori, così come avviene in tutti i Paesi industrializzati. Ma a casa nostra sono questo tipo di impianti sono merce rara: infatti in funzione, degni di nota, sono due. Il primo a Brescia, ed è di proprietà comunale: concepito nel 1988, smaltisce 710 mila tonnellate di rifiuti all'anno, che a loro volta producono 610 milioni di kwh di energia elettrica e 800 milioni di energia termica, utili a scaldare 25mila edifici, evitando di bruciare 170.000 tonnellate equivalenti di petrolio. I rifiuti bruciati provengono per il 10% dalla città di Brescia, il 40% dalle provincie del Bresciano e ben il 50% da 34 province italiane (Roma compresa). L'impianto è gestito da A2A.
Il secondo è in Campania, ad Acerra (Napoli): entrato in funzione nel 2008, l'impianto è anch'esso gestito da A2A. La capacità di smaltimento è di 600 mila tonnellate all'anno con una produzione di energia elettrica con una centrale da 107 MW di potenza. Le emissioni al camino vengono verificate mediante due sistemi di analisi in continuo in grado di analizzare i principali parametri e trasmessi all'ARPA. Malgrado l'esistenza attiva del termovalorizzatore, la Regione Campania nel 2016 ha esportato 258 mila tonnellate di rifiuti urbani, arricchendo i consorzi di autotrasportatori e le municipalizzate settentrionali proprietarie di impianti altrimenti affamati dall'aumento della differenziata (al Nord oltre il 64%, al Sud 37,6%; la Campania è al 52%, Napoli al 38%). Altre 103mila tonnellate sono uscite dalla Campania verso l'estero. Il mercato paga da 140 a 200 euro a tonnellata. Il business dei rifiuti che la Campania non riesce a trattare vale almeno 70 milioni all'anno che consentono ai Comuni del Nord di calmierare le tasse sui rifiuti a spese dei cittadini campani. E il sindaco di Acerra cosa fa? Il 3 settembre 2018 chiede al Governo l'autorizzazione a procedere alla chiusura del termovalorizzatore!
Importanti gruppi industriali milanesi, anni fa, hanno tentato di proporre in Lombardia e in Sicilia la costruzione di termovalorizzatori. A supporto della loro proposta vi erano i pareri favorevoli al limite delle emissioni ben al di sotto di quelli consentiti dalla legge di Umberto Veronesi e del Premio Nobel Renato Dulbecco. Tali progetti non hanno avuto seguito a causa, ufficialmente, di problemi di carattere burocratico. Ma il dubbio è che dietro il diniego vi fosse la perdita del business di determinate organizzazioni che c'erano e ci sono tuttora.
Il vice presidente del Consiglio, Luigi Di Maio, sostiene che la sua politica contro gli inceneritori è dovuta al fatto di osteggiare la mafia dei costruttori degli inceneritori, ma anche in questo caso il dubbio che si voglia proteggere il solito business c'è. E forse non è un caso che la sola Regione ove non siano indicati siti di inceneritori è la Sicilia. Tralascio per ragioni di pudore di commentare la dichiarazione dello stesso membro del Governo: «Parlare di inceneritori è come pensare oggi ad usare cabine telefoniche con i relativi gettoni per comunicare». Sarebbe interessante conoscere come pensa di risolvere il problema dello smaltimento con un metodo meno, come dice lui, obsoleto.
In conclusione, allo stato attuale è necessario soprassedere alla chiusura degli impianti funzionanti a meno che si tratti di impianti vecchi, privi di una indispensabile manutenzione e con emissioni inaccettabili. E mettere in cantiere impianti di taglia medio/piccola con le tecnologie oggi utilizzate in Italia e in Europa e prendere in seria considerazione nuove tecnologie.
Perché, malgrado lo sperato incremento della raccolta differenziata, oltre a richiedere tempi difficilmente ipotizzabili con risultati degni di nota, rimarranno sempre quantitativi di rifiuti non trascurabili che non potranno essere altro che inceneriti.
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