Se i dati dei primi exit poll saranno confermati, la premier svedese uscente, Madgalena Andersson, potrà tirare un sospiro di sollievo. Ieri si è votato in Svezia per le elezioni amministrative, per le regioni ma soprattutto per rinnovare i 349 seggi del Riksdag, il parlamento unicamerale del regno scandinavo. Andersson, leader del partito socialdemocratico e prima donna diventare capo del governo in Svezia, cercava la riconferma per la sua coalizione rosso-verde-centro. Alle ore 20, quando i seggi sono stati chiusi, sia i sondaggisti di Tv4 che di Svt hanno attribuito alla maggioranza uscente 176 seggi contro i 173 seggi a favore del centrodestra. Un vantaggio risicato che potrebbe permettere ad Andersson di restare in sella.
La vera novità è tutta dall'altra parte dello schieramento con i Democratici Svedesi (Sd), un partito islamofobo, nazionalista ed euroscettico, diventati seconda forza politica a livello nazionale con il 21,3% dei voti, quattro di più del 17,5% ottenuto nel 2018. Allungando il passo, Sd diventa il primo partito del fronte conservatore, superando i Moderati che perdono quattro punti e scendono fra il 16 e il 18%.
L'ulteriore rafforzamento di Sd riflette una campagna elettorale nuova per la Svezia: a lungo associata a un'immagine di pace sociale e crescita per tutti, la nazione su cui regna Carlo XVI Gustavo ha mostrato un volto molto diverso da quello conosciuto (e spesso invidiato) ad altre latitudini. Prezzi dell'energia alle stelle, gang criminali che si contendono il controllo delle città a forza di esplosioni e sparatorie, difficoltà di integrazione per parte della popolazione immigrata e la crescita del radicalismo di matrice islamica hanno monopolizzato la campagna elettorale, aumentando la polarizzazione fra i blocchi.
Andersson sarebbe riuscita a mettere il cappello su quattro anni al Rosenbad, la sede del governo a Stoccolma, riportando i socialdemocratici oltre quota 29%, almeno un punto in più del 28,3% (il minimo storico dal 1911) portato a casa quattro anni fa dell'ex premier Stefan Löfven. La premier uscente gode di una popolarità superiore a quella del suo partito e gli svedesi l'hanno ammirata per il piglio con cui dopo lo scoppio della guerra russo-ucraina ha guidato la Svezia verso l'abbandono di 73 anni di neutralità e l'adesione alla Nato. Una manovra sostenuta, a casa, dalla grande maggioranza delle forze politiche svedesi e, sul piano internazionale, condotta mano per mano con la Finlandia della premier Sanna Marin, anche lei leader del partito socialdemocratico nel suo paese.
Se il conteggio delle schede smentirà invece gli exit poll, per il governo di Stoccolma si apriranno due scenari: o una grande coalizione fra i socialdemocratici e i Moderati, ossia fra il primo e il terzo partito un'opzione possibile ma largamente sgradita agli interessati oppure la nascita di un governo nuovo, condizionato dal peso preponderante dei Democratici Svedesi di Jimmie Åkesson. I Moderati di Ulf Kristersson hanno fatto sapere che il cordone sanitario attorno al partito di Åkesson non esiste più. Per Kristersson adesso è prioritario «riordinare la Svezia», cominciando da una politica energetica basata «sul nucleare pulito».
La porta è aperta anche a Sd, una formazione nata dalle ceneri del neonazismo ma oggi forte di consensi soprattutto fra le fasce della popolazione più spaventate dalla globalizzazione che sta cambiando il volto della Svezia.
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