L'ultima trincea elettorale di Donald Trump, composta essenzialmente da quei pochi Stati in bilico che era riuscito a strappare ai democratici quattro anni fa, sta cedendo in queste ore sotto l'assalto di montagne di voti inviati per posta e attribuiti in gran maggioranza al suo avversario Joe Biden. Pennsylvania, Wisconsin e Michigan erano stati la tomba politica di Hillary Clinton, che aveva commesso l'errore imperdonabile di darli per acquisiti come da antica tradizione di voto operaio fedele alla sinistra, e oggi lo sono per Donald Trump, insieme con altri Stati come la Georgia, l'Arizona e il Nevada. Così almeno pare, anche se l'irriducibile presidente repubblicano si sta giocando la carta estrema del riconteggio sia in Pennsylvania che in Georgia, dove la differenza tra vittoria e sconfitta è davvero esilissima.
Soltanto la North Carolina, in questo mazzo spinoso dal quale Trump si era illuso di cogliere solo rose profumate di vittoria, sembra destinata a sorridere senza complicazioni al presidente uscente, ma è molto improbabile che servirà a salvare la sua causa. Così come a nulla varrà la scontata affermazione repubblicana nel remoto e spopolato Alaska, dove procede con esasperante lentezza uno spoglio destinato ad attribuire la miseria di tre grandi elettori. La verità è che Donald Trump sta perdendo, e che solo la rabbia dolorosa provocata da una sconfitta molto più risicata di quanto pronosticassero i sondaggi spiega la sua insistenza nel rifiuto ad ammetterlo. E il punto è che tutti i fronti di questa battaglia finale persa quasi all'arma bianca mostrano due punti in comune. Il primo è quello, già evidenziato, della differenza fatta dal voto postale, che ora Trump tenta di demonizzare come truffaldino ma che lui per primo sapeva che avrebbe premiato il suo avversario. Il secondo punto in comune agli Stati della «ridotta Trump» è la presenza di popolose aree metropolitane in cui il voto democratico è maggioritario. Quei voti arrivano per ultimi e in massa a invertire la tendenza pro-Trump accumulata con il voto della provincia.
Questo effetto urbano è stato chiaramente visibile nel Michigan soprattutto a Detroit, nel Wisconsin a Milwaukee, in Arizona a Phoenix. E in queste ore sta producendo un capovolgimento in favore di Biden anche in Georgia, con i voti in arrivo dalla metropoli di Atlanta, nel Nevada dove si stanno contando gli ultimi pacchi di schede nella capitale del gioco d'azzardo Las Vegas, e perfino in Pennsylvania: qui Trump era arrivato a godere di un vantaggio di oltre mezzo milione di voti, ma i suffragi in arrivo dalle roccheforti dem di Philadelphia, Pittsburgh e Scranton, città natale di Biden, l'hanno progressivamente cancellato fino a far prevedere una clamorosa vittoria dem in recupero, talmente rovinosa per Trump da indurlo a cercare di negarla con ogni mezzo.
Rimangono da stabilire le vere ragioni per cui gli Stati che nel 2016 avevano regalato un trionfo inatteso a Trump siano quasi gli stessi che stavolta lo stanno tradendo. Come spesso capita, non c'è una risposta unica e semplice, ma una sommatoria di cause minori valide in tutti gli States ma più visibili laddove pochi voti fanno la differenza.
E le principali sembrano essere tre: la riuscita mobilitazione del fronte ideologico ostile a Trump, l'effetto della disastrosa gestione dell'epidemia e la defezione palese nell'Arizona orfana di John McCain - di una frangia moderata repubblicana che uno come The Donald non poteva davvero più sopportarlo.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.