Da una parte l'aritmetica, dall'altra la politica. E in mezzo la tela intessuta da una Giorgia Meloni nelle vesti, per lei inconsuete, di paziente temporeggiatrice. Ma stavolta attendere è d'obbligo. Le maggioranze indicate dai numeri del Parlamento europeo sono, un pallottoliere assolutamente effimero. Non a caso i socialisti europei, consapevoli dello tsunami politico sospeso sui cieli di Parigi, hanno fretta di sfruttarlo e assicurarsi un'ultima parentesi di potere. La maggioranza su cui si arrocca la sinistra pretesa di piazzare ai vertici Ue personaggi come l'ex-premier portoghese António Costa o Enrico Letta, si basa sulla somma dei 136 seggi socialisti sommati ai 74 dei liberali macronisti di Renew e ai 189 del Partito Popolare Europeo (Ppe). La somma aritmetica di quest'alleanza fa 399 e rappresenta indubbiamente la maggioranza numerica di un Euro-parlamento con 720 deputati. Ma si tratta di una maggioranza politicamente transitoria. Per capirlo bastano le previsioni sul voto francese del 30 giugno e del 7 luglio. Sondaggi e proiezioni danno per certa la vittoria del «Rassemblement National» di Jordan Bardella e Marine Le Pen. Il tracollo di Macron (foto) promette di essere seguito, a breve giro di valzer, da quello del cancelliere tedesco Olaf Scholz. Il Cancelliere, costretto a vedersela con un'economia in picchiata e una maggioranza dilaniata dallo scontro tra Verdi e Liberali, potrebbe abdicare entro l'estate. Anche perché i Verdi hanno dimezzato i consensi scendendo al 12%, mentre liberali sono al 5%. L'attuale maggioranza tedesca si regge, insomma, su meno del 30 per cento dei voti. Cadute la Francia di Macron e la Germania di Scholz franerebbe, però, anche l'impalcatura di un'Europa rettasi per decenni sull'asse franco tedesco. E con quell'asse andrebbe in briciole la logica - puramente aritmetica - delle rivendicazioni socialiste. Pretendere di piazzare ai vertici dell'Europa personaggi come Enrico Letta o il portoghese Costa mentre la Francia è nelle mani di Jordan Bardella, la Germania prepara il ritorno della vecchia Cdu e l'Italia è saldamente governata dal centro-destra rappresenterebbe una palese sgrammaticatura politica. Ed ancor più sgrammaticato sarebbe affidare - come proposto dai liberali - la guida della politica estera europea a Kaja Kallas premier di un'Estonia marginale e ininfluente. Anche perché a quel punto molti esponenti del Ppe, a cominciare da Manfred Weber leader del Ppe al Parlamento Europeo e dal nostro ministro degli esteri Antonio Tajani, s'interrogherebbero sull'utilità di mantenere un'euro-alleanza largamente bocciata dagli elettori delle più importanti nazioni europee. Senza contare l'esigenza di ricostruire una governabilità dell'Unione resa precaria dal crollo dell'asse franco tedesco. Una precarietà già evidente in Francia dove Jordan Bardella rivendica con decisione il diritto di sottrarre a Macron la scelta dei candidati francese ai vertici europei. «Il Commissario europeo dovrà essere in linea - ha detto domenica il leader di RN - con il nostro desiderio di sostenere alcuni interessi francesi all'interno della Commissione».
Una rivendicazione che dissoltesi le aritmetiche socialiste, e con esse le pretese «dem» di ripescare l' «esiliato» Letta, spetterà di buon diritto anche al governo di Giorgia Meloni. Anche perchè dopo la defezione degli eurodeputati cechi passati dai liberali di Renew al gruppo dei Conservatori e Riformisti (Ecr), dove siede Fratelli d'Italia, l'euro-formazione guidata dalla nostra Presidente del Consiglio è numericamente la terza all'interno del Parlamento dopo Ppe e socialisti. Ma la prima come valenza e orientamento viste le tendenze europee.
Ed è quindi l'unica in grado di garantire una stampella politica alla rielezione della Presidente della Commissione Ursula von der Leyen costretta altrimenti a contare sul voto politicamente «avariato» di socialisti e liberali. Per vincere dunque basta aspettare.
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