Tempesta su Autostrade, arrestati gli ex vertici. Castellucci ai domiciliari

Inchiesta a Genova sui pannelli antirumore. Per un manager erano "incollati col vinavil"

Giovanni Castellucci
Giovanni Castellucci

La barriera? «È incollata con il vinavil», va giù piatto Lucio Ferretti Torricelli. Ma Michele Donferri Mitelli, manager di Autostrade per l'Italia, lo zittisce in malo modo: «Hai parlato troppo». La filosofia aziendale è spietata: spremere la gallina dalle uova d'oro dei pedaggi. E pazienza se le barriere fonassorbenti non sono in regola e si staccano, come è successo intorno a Genova fra 2016 e 2017. Sì, perché nell'Italia dei disastri si scopre che prima del crollo del Ponte Morandi c'erano già stati i cedimenti delle protezioni che «si erano concretamente ribaltate» sull'asfalto.

Così dall'inchiesta madre ne nasce un'altra che esplode ieri con l'arresto di Giovanni Castellucci, il potentissimo amministratore delegato di Aspi e di Atlantia congedato nel settembre 2019 con una buonuscita faraonica di 13 milioni di euro (solo in parte incassati) e di due alti dirigenti del gruppo: appunto Donferri e Paolo Berti, pure presente a quello sciagurato colloquio sulla colla intercettato dagli investigatori genovesi.

Il terzetto finisce ai domiciliari, altri tre dirigenti ricevono pesanti misure interdittive. Castellucci, indagato per la tragedia del Morandi, deve rispondere in quest'altro filone di attentato alla sicurezza dei trasporti e frode in pubbliche forniture. Il gip scolpisce un ritratto duro dell'ex numero uno di Aspi, uscito solo formalmente di scena ma in realtà ancora in grado di condizionare scelte e strategie: «È una personalità spregiudicata, incurante del rispetto delle regole, ispirata a una logica strettamente commerciale e personalistica anche a scapito della sicurezza collettiva».

Non importa che i pannelli vengano giù e i materiali siano scadenti, meglio accontentarsi di qualche rattoppo, dribblando le «ingenti spese» e infischiandosene delle conseguenze. D'altra parte, la catena di comando di Aspi pare legata da segreti inconfessabili e ricatti, in un rimpallo vertiginoso e sconcertante da una sciagura all'altra. «Non gli puoi imputare a lui - dice il solito Donferri al solito Berti in uno dei tanti colloqui registrati - che ci sono stati 40 morti de là e 43 de qua. Siamo tutti sulla stessa barca».

Lui, naturalmente, è l'onnipotente Castellucci e il riferimento, cupo e due volte luttuoso, è ai 40 passeggeri del pullman precipitato dall'autostrada ad Acqualonga nel 2013 e ai 43 caduti del Morandi. Per il primo disastro Castellucci è stato assolto, ma Berti ha sulle spalle una condanna a 6 anni. Donferri, che lavora ma percepisce la Naspi, l'indennità di disoccupazione, prova a calmarlo. E gli fa balenare la riconoscenza del grande capo, ma lui non ce la fa più e si sfoga: «Meritava una botta di matto, andavo ad Avellino e dicevo la verità, così l'ammazzavo». Castellucci va per la sua strada. Le barriere antirumore si portano dietro errori di progettazione e non reggono venti forti, ma lui rallenta sostituzione e adeguamento dei pezzi, anche di quelli potenzialmente pericolosi per gli automobilisti.

La verità la racconta nel febbraio 2020 in un'altra conversazione captata dagli inquirenti Gianni Mion, presidente (non indagato) di Edizione che attraverso Atlantia controlla Aspi: «Le manutenzioni le abbiamo fatte in calare, più passava il tempo meno facevamo...così Gilberto e tutta la famiglia erano contenti». Dove Gilberto è naturalmente Gilberto Benetton, l'imprenditore scomparso il 22 ottobre 2018. «È emerso - annota il gip - un quadro desolante: l'insicurezza della rete autostradale sia in riferimento ai viadotti, sia alle gallerie, sia alle barriere».

Nell'era di Castellucci, par di capire, non si salvava niente. E il 25 giugno 2018 Donferri manda un whatsapp agghiacciante a Berti: i cavi del Morandi «sono già corrosi». Neanche due mesi dopo, il 14 agosto, il ponte non c'è più.

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