Le tolsero il figlio di due anni a causa delle continue liti con il marito. Lo affidarono ad un pregiudicato per furto, droga e possesso illegale di armi. Il bimbo morì dopo essere stato lasciato incustodito in piscina. E quando la disperata madre ha fatto causa allo Stato citando in tribunale anche i giudici che permisero tutto questo, le hanno negato il risarcimento, condannandola pure a pagare 80mila euro di spese legali. È l'incredibile storia di Giovanna Dotti, 52 anni, la cartina di tornasole di come la giustizia possa distruggere impunemente la vita di una persona. Prima della tragica fine del suo piccolo Renzo, infatti, Giovanna aveva avuto altre due figlie, che oggi hanno 28 e 33 anni. «Nel 2003 mi separai e loro furono affidate a me dal giudice. Non fu facile. Una ebbe infatti problemi di anoressia. Ma anche l'altra soffrì enormemente per il distacco dal padre». Succede. Le cose cambiano quando conosce un ragazzo egiziano e resta incinta di Renzo: «Purtroppo, dopo pochi mesi dalla nascita del bimbo iniziammo a litigare». I vicini si allarmano: «Una mattina, all'alba, trovai sotto casa carabinieri e assistenti sociali. Il Comune di Crema le toglie il piccolo. Giovanna lo vede una volta la settimana in una struttura protetta. Poi il tribunale dei minorenni di Brescia lo dà in affido ad una coppia che ha già due figli piccoli. Un mese prima che Renzo compia due anni, il bimbo muore annegato nella piscina del giardino della famiglia affidataria. Secondo le indagini fu un tragico incidente: era stato lasciato solo per qualche minuto con gli altri due figli piccoli per accompagnare una vicina alle 18.45. Ma restano enormi perplessità sugli orari, visto che l'ambulanza fu chiamata solo alle 19,26. Nella sentenza del gip che archivierà il caso si parla di «un evento del tutto fuori da ogni ragionevole prevedibilità», dato che, come scritto dal pm, «il piccolo non era mai entrato in piscina (profonda ben 75 centimetri), manifestando poca confidenza con l'acqua».
Ma non basta. Il capofamiglia affidatario aveva precedenti per droga, furto e possesso illegale di armi, con l'ultima condanna risalente al 1998: «Io sono incensurata. Mi tolgono il bambino dopo che ne ho cresciute altre due. E poi lo affidano ad un pregiudicato per furto, droga e armi?». Giovanna fa causa al Comune di Crema, al ministero della Giustizia e al tribunale dei minorenni di Brescia, chiedendo un risarcimento danni di tre milioni. Il tribunale di Brescia in primo grado rigetta tutte le richieste di assunzioni di prova della donna, «compresa l'esibizione coattiva del fascicolo sull'affido alla famiglia», dice l'avvocato Claudio Defilippi, che assiste Giovanna. Nel 2020 il tribunale rigetta la domanda di risarcimento perché «i precedenti penali non contano essendo datati» e si scrive che «Il tribunale dei minorenni non sarebbe propriamente un ente dipendente del ministero, per cui la relativa domanda va rigettata per indeterminatezza». Dice ancora Defilippi: «È una motivazione fuori da ogni logica giuridica». Nessun colpevole, l'unica a pagare con spese legali astronomiche è la mamma cui era stato strappato il bimbo.
C'è un altro fatto gravissimo che il legale apprende spulciando gli articoli di stampa sulla tragica morte del bambino. La famiglia affidataria, «da anni» collaborava «con il Tribunale dei minori di Brescia».
«Purtroppo non possiamo verificarlo l'esibizione coattiva del fascicolo ci è stata negata. Ma questa notizia è inquietante. Presenteremo un esposto in Procura, alla Cassazione contesteremo la sentenza che nega il risarcimento e potremmo richiedere la riapertura del fascicolo penale», assicura Defilippi.
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