La pacchia sta per finire per molti parlamentari che in questi anni si stanno adoperando in tutti i modi per far sì che la legislatura arrivi fino alla sua naturale scadenza nel 2023. E tra alleanze improbabili, cambi di casacca, dietrofront memorabili, anche l'elezione del Presidente della Repubblica si colloca in queste logiche.
Già, perché un capo di Stato "divisivo" potrebbe mettere a serio rischio la tenuta della maggioranza. E, ancor di più, nel caso in cui fosse proprio il premier Mario Draghi ad approdare al Quirinale, non è escluso che non si possa andare a elezioni anticipate. L'incubo di molti, soprattutto tra i grillini. Sono il gruppo parlamentare più numeroso e anche quello che, tra taglio del numero dei parlamentari (caldeggiato proprio da loro), crollo di consensi, fine del doppio mandato, dovrà lasciare a piedi parecchia gente.
Oltre alle giravolte private, a giudicare dalle uscite pubbliche nemmeno i "big" del Movimento 5 Stelle sono esenti dall'incertezza dell'avvenire, come Danilo Toninelli, senatore impegnato nelle elezioni del Presidente della Repubblica, che fuori da Montecitorio nei giorni scorsi ha confessato caldamente: "Penso sia l’elezione più complicata che ci sia nel momento storico più complesso. Spero che nei prossimi giorni si trovi una soluzione perché il paese merita di avere velocemente un Presidente della Repubblica e che si riprenda l’attività ordinaria. Mario Draghi deve rimanere a Palazzo Chigi a completare quello che non ha ancora completato, dalla lotta al covid ma soprattutto al Pnrr per cui dobbiamo ricevere tanti soldi dall’Europa e l’Europa ce li dà se non siamo in ritardo. Se Draghi pensa che lasciando il governo e aspettando mesi che si crei un nuovo governo l’Europa ce li darà, io penso che si stia grossolanamente sbagliando".
Strano, perché Toninelli è lo stesso che appena un anno fa, nel febbraio 2021, di Mario Draghi a Palazzo Chigi diceva durante l'assemblea dei 5 Stelle: "In questi anni noi non ci siamo mai preoccupati del consenso, abbiamo dato tutto senza preoccuparci di questo e sapendo che non era facile né allearsi con la Lega né col Pd. Ma noi non abbiamo mai approvato leggi porcherie: il no a Draghi è nel nostro Dna". E pubblicamente sui social fu protagonista del celebre: "Non ci vengano a chiedere i votare Draghi. Abbiamo persino lavorato".
D'improvviso, insomma, pure Toninelli sembra essere diventato un "bimbo di Draghi". Sarà perché durante la sua lunga esperienza parlamentare (e governativa) ha visto lievitare il suo stipendio del 100%? Prima dell'elezione a deputato nel 2013, infatti, Toninelli, laureato in giurisprudenza, dichiarava un reddito da 46.996 euro annui.
Dopo un periodo di lavoro come ufficiale di complemento dei carabinieri, è stato ispettore assicurativo e per tutta onestà non sembrava passarsela male. Poi, però, con l'ingresso in Parlamento ha comunque fatto bingo.
Solo considerando questa legislatura, quella cioè in cui ha ricoperto la carica di senatore e, dal 1 giugno 2018 al 5 settembre 2019 anche di Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti (governo Conte I), ha percepito al mese 11.555 euro lordi (5.304,89 netti). Più benefit ovviamente: 3.500 euro di diaria, 4.180 euro per le spese di mandato e 1.650 euro forfettari tra cellulare e trasporti. La sua dichiarazione dei redditi complessivi, tra una cosa e l'altra, è arrivata a sfiorare quota 95mila euro annui.
Pur considerando i 2mila euro di rimborsi al mese versati all'associazione Rousseau (con una certa discontinuità, tra l'altro), insomma, si tratta di un bel salto di qualità dal punto di vista reddituale, a cui Toninelli e molti altri parlamentari con la data di scadenza stampata in fronte, almeno per un altro annetto, non vorrebbero affatto rinunciare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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