La tragicomica guerra tra Cina e India. Il pomo della discordia? Una pigna rosa

Il governo dello Stato del Gujarat ha deciso di cambiare nome al "frutto del Dragone". E le tensioni si mescolano con gli sfottò

La tragicomica guerra tra Cina e India. Il pomo della discordia? Una pigna rosa

Il pomo della discordia tra le due superpotenze asiatiche, Cina e India, non è una lucida mela rossa ma una sorta di pigna rosa fucsia. Lo ha deciso il governo dello stato indiano del Gujarat, che ha pensato di cambiare il nome del frutto del dragone, introdotto recentemente e coltivato da quasi 200 contadini su 600 ettari di terreno, perché ricorda troppo l'ingombrante vicino cinese e dunque «non sembra appropriato». Così il dragon fruit, un bizzarro e un po' inquietante e leggermente insapore frutto con la buccia che ricorda le scaglie di un drago e l'interno bianco o rosso cosparso di piccoli semi neri simili a quelli del kiwi, d'ora in avanti, per decreto del primo ministro dello stato Vijay Rupani, si chiamerà «kamalam», che in sanscrito significa loto, fiore al quale il frutto somiglia.

Sembra di leggere un racconto di Pirandello, ma la surreale vicenda è in realtà un riflesso delle crescenti tensioni tra le due superpotenze. Mentre il dragone infatti notoriamente richiama la Cina, il loto è fiore sacro dell'induismo, ma anche simbolo del Bharatiya Janata Party (BJP), partito del primo ministro indiano Narendra Modi che del Gujarat, tra l'altro, è originario.

Inconsapevole terreno delle tensioni geopolitiche è diventato quindi il frutto del Hylocereus cactus, nome scientifico, anche detto pitaya, che, in questa disputa tutta asiatica in realtà asiatico non è. È infatti originario delle zone aride tropicali del Centro e Sud America e nel XIX secolo fu impiantato dai francesi in Vietnam, oggi maggior produttore mondiale, e da lì si diffuse in altre parti dell'Asia.

Al momento non risulta che gli altri stati produttori sparsi un po' ovunque in India, dal Karnataka al Kerala, dal Tamil Nadu al Gujarat alle isole Andamane, abbiamo intenzione di seguire il cambio di nome. Mentre i coltivatori locali si dicono convinti che una denominazione più «patriottica», priva di associazioni con il poco amato e decisamente ingombrante vicino, potrebbe portare a un maggiore apprezzamento del bizzarro cactus, magari con un boom di vendite, non sono mancate le critiche dall'opposizione, che ha invitato a occuparsi di problemi reali, a partire da una pandemia di Covid-19 tutt'altro che sotto controllo. E non sono mancati gli sfottò, via social, con l'hashtag #KamalaMakkhi con il quale ironicamente si invita a risolvere i grandi problemi dell'umanità cambiando il nome anche della libellula (in inglese Dragonfly).

Sullo sfondo di questa disputa da biblioteca che avrebbe appassionato Jorge Luis Borges ci sono le crescenti tensioni tra le due potenze asiatiche, con al centro la disputa sui confini della regione di Ladakh, a nord del Paese, che lo scorso giugno è sfociata in combattimenti nella valle di Galwan tra i due eserciti con il tragico bilancio di 20 soldati indiani uccisi e accuse reciproche di aver varcato la linea di controllo effettivo. Nonostante otto incontri diplomatici, la contesa sui confini è lungi dall'essere risolta e la tensione cresce.

Lo scorso giugno nello stato del Bengala Occidentale, in occasione delle celebrazioni in onore della dea Durga, al posto del demone massacrato dalla dea c'era un'immagine del presidente cinese Xi Jinping.

La lingua, non è la prima volta, diventa terreno di battaglia di questioni politiche. Ma la contesa tra due superpotenze nucleari non potrà certo essere risolta dalla locale Accademia della Crusca.

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